Fabrizio Ravoni
da Roma
Una signora dallaria esperta, allora di pranzo, si rivolge ad un gruppo di amici con le bandiere arrotolate sulle spalle: «Ecco, questa qui a sinistra è Via Frattina. È famosa perché durante il periodo natalizio viene addobbata con mille luminarie». A poche centinaia di metri di distanza, Angelino Alfano, coordinatore di Forza Italia per la Sicilia, riceve sms e chiamate in continuazione. «Siete appena arrivati ai Colli Albani? Bene, tra un po vengo anche io per il corteo. Quanti pullman sono arrivati? Cosa vuol dire, tanti?».
Tanti. Erano davvero tanti a sfilare ieri per le strade di una Roma ruffiana. La middle class scende in piazza. E non ci sono solo le finte bionde che vanno pazze per Berlusconi. Le bandiere vengono tenute da mani sfruttate dal lavoro. Ma anche da dita affusolate dallo studio. Operai ed imprenditori. Giovani e vecchi. Casinisti e neofiti. Campanacci e grisaglie. E pure i pescatori di Stromboli.
I sindacalisti, che a San Giovanni sono di casa, spiegano i loro calcoli per la stima dei partecipanti. «Dal sagrato alla statua di San Francesco entrano 120mila persone. In media bisogna calcolare circa 2 persone a metro quadrato». E quando alle cinque del pomeriggio le code dei cortei sono ancora a Piazza Esedra ed al Circo Massimo? E quando la gente arriva oltre Santa Croce di Gerusalemme, a Piazza Vittorio, al Laterano, quanta gente cè in strada? «Non lo so. A noi non è mai successo». Eppure Cgil, Cisl e Uil, una volta, dissero di aver portato a Roma 3 milioni di persone.
«Gli organizzatori mi informano: siamo oltre due milioni», urla Silvio Berlusconi dal palco. Due milioni che cantano lInno di Mameli. Due milioni che applaudono ai carabinieri a Piazza Venezia. Due milioni che urlano contro la finanziaria. Più una manciata di cretini; come quelli del saluto fascista e dei fischi allInno. Asini in carne ed ossa, come quelli portati a spasso da Domenico Gramazio («il pinguino», era il suo nome di battaglia quando era deputato di An). O quelli di cartapesta, con sopra un fantoccio dalla sembianze di Prodi (per la presenza di quelli veri, i quadrupedi, gli organizzatori verranno multati dal Comune di Roma).
A Piazza Venezia sfila un tricolore da Guinness dei Primati: 500 metri di bianco, rosso e verde srotolati dagli uomini di Alleanza nazionale per ricordare i caduti di Nassirya. Gianfranco Fini vuole essere presente. Per muoversi nella folla usa una moto. Ma non mette il casco, e per questo viene «pizzicato» dai Verdi e da Roberto Giachetti. Poi, sempre in moto si allontana da piazza San Giovanni al termine della manifestazione.
Per le strade di Roma sfila il melting pot della Casa delle libertà. Poco oltre la Bocca della Verità, nel corteo fa una breve apparizione anche Umberto Bossi. Un boato in tutte le lingue. Dialetti del Sud si mescolano ad accenti delle valli bergamasche. Lumbard e siculi fanno finta di capirsi. «Se ghè?». «Chibbo riri». Vestono le stesse magliette contro il governo. T-shirt ardite, diavolesse con la scritta «il diavolo veste Prodi», biancheria intima in bella mostra («Prodi ci ha lasciato in mutande»). Le magliette con il volto del Che barrato vanno a ruba. Gettonatissima anche laltra con la scritta «io non sono stato così coglione» che parafrasa la frase di Berlusconi nei confronti di chi ha votato Prodi. Nelle casse resta qualche scorta invenduta, come la t-shirt con la scritta: «Grazie a Dio nella mia famiglia non ci sono comunisti». Meglio non sbilanciarsi, devono aver pensato i manifestanti.
Un poster riproduce la foto dei campioni del mondo. Con Prodi al posto di Cannavaro. Ma al posto della scritta che ha fatto il giro del mondo, unaltra: ladroni del mondo.
Il deflusso è lento e svogliato; ma regolare. Gli incidenti attesi con gli autonomi non ci sono stati. Solo due anziani sono stati aggrediti da una banda di borgatari.
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