Le lacrime dei coccodrilli su Falcone

Caro Granzotto, le chiedo un aiutino: mi fornisca alcuni nomi di personaggi, politici e magistrati famosi che firmarono un documento contro Giovanni Falcone. È infatti stomachevole l’ipocrisia sulle celebrazioni di Giovanni Falcone da parte di gente che nei momenti tragici e difficili ha fatto di tutto per contrastarlo e combatterlo. La denuncia informatica nei loro confronti dovrebbe essere continua per smascherarli e denunciarli.
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Sono già smascherati, caro Pieri. E da tempo. Però è come se nulla fosse. Loro seguitano a fare gli ipocriti e la società civile di area manettara e giustizialista a non tener conto di quella volgare e smaccata simulazione di buoni sentimenti. Il documento al quale lei si riferisce è del dicembre del 1991: firmato da 63 magistrati, primi dei quali Giancarlo Caselli, Antonino Caponnetto e Elena Paciotti, contestava, bocciandola, la superprocura antimafia fortemente voluta da Giovanni Falcone, definendola «strumento inadeguato, pericoloso e controproducente». Una dichiarazione di guerra in piana regola e che diede il via a una campagna di delegittimazione («Mi insozzano», per usare le parole di Falcone) condotta principalmente da coloro che oggi la stomacano. Non essendo riusciti a impedire la costituzione della superprocura, quelli che oggi ne parlano a ciglio umido, chiamandolo amico e fratello, scesero in campo per impedire, almeno, che Falcone ne prendesse la guida, a tal proposito indicendo uno sciopero con tanto di adunata nel Palazzo di giustizia di Roma dove prese la parola, applauditissima, Elena Paciotti, presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Anm alla quale in seguito diede manforte, nella martellante (e umiliante) campagna denigratoria, la sinistra (la stessa che oggi lo piange martire e lo porta ad esempio) e la Rete di Leoluca Orlando, il quale giunse ad accusare Falcone di tenere «le prove nei cassetti» per non coinvolgere nelle inchieste certi notabili politici.
Il motivo di tanta ostilità è noto: Giovanni Falcone aveva in più occasioni denunciato le storture del sistema giudiziario deprecando la politicizzazione del Consiglio superiore della magistratura («Il Csm è diventato una struttura da cui il magistrato si deve guardare, con le correnti trasformate in cinghia di trasmissione della lotta politica. Quanti altri danni deve produrre questa politicizzazione della giustizia?»). Invocando un freno alla discrezionalità delle Procure («Mi sento di condividere l’analisi secondo cui, in mancanza di controlli istituzionali sull’attività del Pm, saranno sempre più gravi i pericoli che pressioni informali e collegamenti occulti con centri occulti di potere possano influenzare l’esercizio di tale attività»). E, non ultimo, dissentendo dai colleghi che invece di combattere la mafia costruivano teoremi sulla sua cupola (politica) cercando - sopra tutto attraverso i pentiti - di raccoglie le prove della sua esistenza («Per non so quale rozzezza intellettuale, il nostro terzo livello è diventato il “grande vecchio”, il “burattinaio”, che, dall’alto della sfera politica, tira le fila della mafia. Non esiste ombra di prova o di indizio che suffraghi l’ipotesi di un vertice segreto che si serve della mafia, trasformata in semplice braccio armato di trame politiche»). Rozzezza intellettuale che seguita a restare ben viva nonostante lo smacco rappresentato dal recente caso del super pataccaro Massimuccio Ciancimino.

«Icona dell’antimafia» per quei magistrati e quei giornalisti manettari che oggi si dicono eredi e seguaci del «caro Giovanni» e del suo alto insegnamento. Infingardaggine che a lei, caro Pieri, così come a me impone l’assunzione di un buon emetico.
Paolo Granzotto

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