Lacrime, ricordi e aneddoti: la politica s’inchina allo statista

RomaLa faccia serena del delegato comunale alla sicurezza Giorgio Ciardi è tutto un programma. La zona che circonda l’ospedale Agostino Gemelli è militarizzata. Ci sono vigili e poliziotti ovunque ma non succede alcunché. Il rischio di azioni dimostrative è scongiurato. Il saluto al presidente emerito Francesco Cossiga si consuma così, tranquillamente. Voleva un addio discreto e il calendario gli ha dato una mano: morire nella settimana di Ferragosto è stato l’estremo omaggio di un destino benevolo. Con i vip al mare e il poco popolo nelle retrovie non resta che fare la conta dei politici intervenuti ieri alla camera ardente allestita nella cappella dell’ospedale romano. A cominciare dal silenzioso (e commosso) sottosegretario Gianni Letta e dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che tra una selva di microfoni annuncia il «piccolo omaggio al grande uomo». Dopo la benedizione del cardinal Bertone arriva Andreotti che si regge a malapena; i fotografi scattano furiosamente: «Daje che queste so’ le ultime che je famo...». Lui replica, sornione, con un sorriso immortale. Si sprecano i volti abbronzati: Fini, Maroni, Tremonti e Calderoli hanno poca voglia di parlare. Più loquace il capogruppo del Pdl alla Camera Cicchitto: «Che personaggio straordinario era Cossiga, ha dimostrato che i cattolici non dovevano avere soggezione intellettuale dei comunisti». Dentro la cappella cinque immense corone, tra cui due arrivate da Sassari (Comune e sindaco) in un silenzio così poco romano. La bara è contornata da quattro mazzi di rose rosse. Sobrietà che colpisce mentre i cellulari - per fortuna - non squillano. Niente clamori. Come voleva, come ha scritto nella lettera al premier, con le malelingue già pronte a gettare un’ombra di giallo, Cossiga non voleva funerali di Stato. Tutto qui. Nessun segreto.
Il premier Berlusconi arriva dopo pranzo direttamente dalla Sardegna, si intrattiene un quarto d’ora con i figli Giuseppe e Anna Maria e poi va via. Fuori si moltiplicano gli arrivi eccellenti. Belle le parole dell’ex presidente del Senato Franco Marini: «Cossiga ha rispettato i ruoli e lo Stato in anni difficili per la nostra Repubblica. Trent’anni fa aveva capito prima degli altri che crisi profonda avrebbe colpito l’Italia. Non ce lo meritavamo uno così...». Pannella non si smentisce: «Siamo stati avversari e amici, è stato tra i massimi esponenti di questo sessantennio “partitocratico”». C’è anche la senatrice Anna Cinzia Bonfrisco e il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo che si ferma a pregare a lungo. Il presidente del Senato Schifani annuncia il testamento morale: «Ci ha lasciato il compito di governare per il popolo, l’unico detentore della democrazia». Lamberto Dini, senatore del Pdl, già presidente del Consiglio e governatore della Banca d’Italia, deve molto a Cossiga. «Fu lui - dice - che nel 1979, quando era presidente del Consiglio, mi telefonò di notte, all’epoca abitavo a Washington, e mi disse “torna a Roma sarai il direttore generale della Banca d’Italia”. Aveva un grande senso dell’amicizia per tutti quelli che conosceva».
L’aneddoto del ministro della Difesa Ignazio la Russa chiude in bellezza: «L’ultima volta che l’ho visto, lo scorso dicembre, si era informato su quali fossero i tempi per il decreto che lo nominava brigadiere dei carabinieri ad honorem.

L’ho rassicurato dicendogli che sarebbe arrivato presto. Lui mi ha detto “Ignazio, fai presto, perché non mi rimane molto tempo”. Aveva ragione, purtroppo». Oggi alle 7,30 c’è la messa in suffragio a San Carlo in via del Corso. Poi il volo finale a Sassari per i funerali.

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