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Lake Placid, dove i fratelli Heiden erano l’America

Dei Giochi di Lake Placid, lì ritornati dopo il 1932, conservo un ricordo strano e diverso da ogni altra contesa olimpica. Fu un disastro per i giornalisti italiani alloggiati in un motel calamitato dal nome «Suisse hotel». Immaginammo un calore e colazioni elvetiche, ma ci trovammo in una baracca di legno estiva per cui ci improvvisarono un riscaldamento con ventole tanto rumorose da tenerci svegli.
Fu anche un periodo gelido e per far la colazione dovevamo attraversare una landa di mezzo chilometro a venti sottozero. Contentino finale: eravamo a 18 km dal Lago Placido. Ora, parlando di sport, va subito detto che i risultati degli atleti azzurri furono men che mediocri. Nessuna medaglia nello sci e due sul ghiaccio, ma non dorate, degli slittinisti Gschnitzer e Brunner. L'oro avrebbe dovuto vincerlo l'altoatesino Ernesto Haspinger che era primo dopo tre discese e aveva i migliori intertempi nella quarta. Ma sbandò nell'ultima curva e lasciò sul ghiaccio non solo l'oro ma ogni altro metallo.
Nello sci discreti furono i piazzamenti di Herbert Plank in discesa e Bruno Noeckler nel gigante, ambedue sesti. Miglior risultato il quarto posto dell'attuale nostra giornalista Maria Rosa Quario che, se ben ricordo, non era destinata a gareggiare. Ma una febbrile influenza di Wanda Bieler le consentì di scendere molto onorevolmente sulla pista. Ricordo l'entusiasmante discesa vittoriosa di Anne Marie Proll in discesa, ma le sfide più eccitanti vennero dal fondo con due successi del sovietico Nikolaj Zimjatov. Un vero «vaevieni» fu la lotta sulla 15 km fra lo svedese Wassberg e il gigante finnico Mieto, epico nel suo incedere da boscaiolo del grande Nord con la barba gelata, sconfitto per un solo centesimo di secondo.
Ora, devo confermare che ogni Olimpiade lascia nei cuori almeno un episodio perenne; o il sorriso di una campionessa o la potenza di un fenomeno. Questi di Lake Placid sono per me immortali per quanto mi ha donato il pattinatore Eric Heiden, che andai a vedere di oro vestito in tutte le sue cinque corse vittoriose. Mai era accaduto e mai si è poi ripetuto in seguito. Lui, con la sorella Beth, ben poco fuoriclasse (comunque capace di almeno una medaglia di bronzo), guadagnò in famiglia metà di tutte le medaglie degli atleti a stelle&strisce. Coppia affiatata e indubbiamente bizzarra. Dopo aver pattinato una giovane vita, fratello e sorella si vestirono da ciclisti, lui addirittura per correre un Tour de France. Se lo ricordo adesso, pur non sapendo più nulla di lui, lo rivedo con lo sguardo quasi feroce nella potenza dorata della sua guaina, nel suo avanzare sulla pista. E poi, oltre il traguardo, mentre si toglieva la cuffia e fissava il cielo con un sorriso dolcissimo.

Cinque volte, sempre e solo lui.

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