Fabrizio de Feo
da Roma
Alla fine il ministro delle Comunicazioni, Mario Landolfi, tiene fede alla parola data. Resiste alle pressioni e lascia invariato il canone Rai, fermo a 99,6 euro anche nel 2006. Una decisione accolta con parecchi mugugni dalle parti di Viale Mazzini, visto che un ritocco della «tassa di possesso sullapparecchio televisivo» era una prospettiva a cui guardavano con favore tanto la presidenza quanto la direzione generale.
Ministro Landolfi, da cosa nasce questa decisione di bloccare il canone?
«Laumento del canone deve avvenire nel caso in cui lerogazione del servizio pubblico configuri un deficit di bilancio. Questa circostanza non esiste perché la Rai ha chiuso il bilancio infrannuale del 30 giugno con un attivo di 97 milioni di euro. Un attivo più ampio del 2004, visto che nello stesso periodo lattivo era di 83 milioni».
Qualcuno giudica ladeguamento del canone al tasso di inflazione programmata come un atto dovuto. Lei come risponde?
«Se fosse un atto adovuto non ci sarebbe bisogno di un ministro ma basterebbe lIstat. La verità è che la Rai nel 2004 ha diviso gli utili, destinando una cifra importante alla riduzione del debito pubblico. Non si capisce in base a quale principio avrei dovuto infilare la mano nella tasca dei cittadini».
Il presidente della Rai Petruccioli le aveva chiesto di posticipare la decisione, in attesa della certificazione della «Deloitte and Touche». Cè stato un eccesso di zelo?
«Nessun eccesso di zelo. La legge stabilisce che entro novembre venga stabilito lammontare del canone. Lo avevo già spiegato con una lettera al dg Meocci e alla Vigilanza. Mercoledì sera Petruccioli mi ha chiesto di sospendere la decisione ma il decreto era già stato firmato e in ogni caso non sarei andato oltre la scadenza prevista dalla legge».
Perché lopposizione si è schierata a favore dellaumento del canone?
«Io dico che se lopposizione batte sul tasto della quarta settimana e sulla difficoltà degli italiani ad arrivare alla fine del mese, a maggior ragione deve essere oculata quando si tratta di aumentare una imposizione fiscale che, tra laltro, va a gravare sempre sulle stesse persone».
Perché il canone viene vissuto con fastidio dagli italiani?
«Il problema del canone è complesso. Esiste sicuramente il problema di rilegittimarne il pagamento. Ma questo è un altro discorso. Il punto dirimente è che la Rai non presenta un bilancio in rosso e ha in sè le potenzialità per poter reperire eventuali risorse aggiuntive. Lazienda deve agire con molta più spigliatezza rispetto alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie, come la tv sul telefonino, visto che ha un secondo multiplex e può mettere a disposizione il 40% della sua potenzialità digitale. Cè anche Raiway da utilizzare per fare accordi strategici e rafforzare la presenza Rai nei contesti internazionali».
Il dg Meocci paventa un rischio perdite di 80 milioni di euro nel 2006.
«A volte è meglio piangere, me ne rendo conto e lo dico senza polemica. Ma cè un problema di numeri. Al 30 giugno cè solidità di bilancio. Ora si tirano fuori i costi sostenuti per lacquisto dei diritti per i Mondiali e la Champions League. Ma quando si tratta di diritti in concorrenza non si può invocare il canone altrimenti diventa un aiuto di Stato».
Meocci mette laccento anche sui limiti normativi imposti alla raccolta pubblicitaria.
«Ma quei limiti esistono da una vita... La sensazione è che in Rai la raccolta pubblicitaria sia fatta con il freno a mano. Il settore cresce ma la Rai segna il passo. È vero che cè il tetto ma quello che può essere reperito non viene reperito. Oggi molti ci restano male ma poi mi ringrazieranno perché questo li spronerà ad andare avanti in interventi seri e strutturali, così da stare al passo con linnovazione tecnologica».
Dalle sue parole sembra che lei non sia precisamente entusiasta dellattuale gestione di Viale Mazzini...
«È una gestione insediata da poco a cui non attribuisco nessun elemento di negatività. Dico solo che in Rai bisogna rendersi conto che le nuove sfide non possono essere affrontate con gli strumenti del passato. Non si recupera autorevolezza battendo cassa».
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