LapiDario furibondo: salta la tregua, tutti in coda per rubargli la poltrona

RomaDario Franceschini, dicono dal suo più stretto entourage, è «furibondo». Aveva chiesto ai capicorrente una tregua fino ai ballottaggi, aveva invitato a non riaprire subito la guerra civile interna al Pd, a colpi di interviste, auto-candidature, attacchi e ripicche; e invece neanche era finita la conta delle preferenze europee e delle province perse che gli scontri tribali sono ripresi con il fervore di sempre.
E così il «furibondo» segretario fa circolare la minaccia: attenti, perché se si continua così il nostro popolo non va neppure a votare ai ballottaggi, e il giorno dopo il voto, qualsiasi sia il risultato, io vi mando tutti a quel paese e me ne vado. E poi il congresso lo fate tra le macerie, come il G8 dell’Aquila.
Alla minaccia, che ieri ha momentaneamente azzittito la rissa interna, il segretario ha fatto seguire una mossa che dimostra che, in realtà, non ha alcuna intenzione di mollare la spugna, anzi: ha colto al volo le parole di Berlusconi sull’opposizione «disfattista» e ha convocato una conferenza stampa per rispondere alle «minacce» del premier, investendosi del ruolo di bersaglio numero uno delle sue «intimidazioni»: «Il premier ci intimidisce, ma io non ho paura, è il momento della dignità e del coraggio», assicura Franceschini. E tutti i suoi supporter congressuali (da Fassino a Fioroni al capogruppo Soro) rincarano la dose. «A Berlusconi dà fastidio Franceschini», sintetizza Fioroni. E dunque, si sottintende, quale leader migliore può avere il Pd di quello più temuto da Berlusconi?
Ma la strada verso il congresso e le primarie è ancora lunga e piena di incognite. Le candidature si moltiplicano, gli astri sorgono e tramontano nel giro di pochi giorni. Vedi il caso Serracchiani: la brava, votata e molto osannata Debora sembrava lanciata in una corsa inarrestabile verso i vertici, veniva data come candidata certa in ticket con Franceschini, come vicesegretaria. Oggi lei stessa annuncia: «Mi impegnerò nel mio nuovo ruolo di parlamentare europea». Ha capito l’aria che tira, e fa un passo indietro. Anche perché il suo principale sponsor, Walter Veltroni, cui viene attribuita l’idea del ticket per «mettere il suo marchio sulla candidatura Franceschini, e impedirgli inciuci con D’Alema», come spiega un dirigente Pd, sembra più freddino: ha registrato la rivolta di tutto l’apparato del partito contro una candidata «paracadutata» e miracolata, e si tiene prudentemente distante.
Intanto sorge una nuova star, il professor Ignazio Marino. Luminare medico e padre, in Senato, della battaglia liberal sul testamento biologico, grande popolarità nell’area laica del Pd e grande avversione nell’area cattolica (la pasdaran teodem Binetti si è subito autocandidata per fermare l’eretico). È Goffredo Bettini a lavorare alla sua candidatura, che gli consentirebbe uno spazio di manovra tra Franceschini e il suo competitor Bersani. Ma non è finita qui: Realacci invoca un candidato «ecologista»; Adinolfi lancia Filippo Andreatta; Zingaretti (ora presidente della provincia di Roma) sta ben coperto ma se la pressione per un ricambio generazionale crescesse avrebbe carte da giocare. E l’area dei «quarantenni» pro-rinnovamento è in movimento, ha convocato al Lingotto un appuntamento per fine mese da dove lancerà una mobilitazione della base Pd per liberarsi dal giogo dei «vecchi capibastone Dc e Pci». Messaggio che potrebbe avere più audience del previsto, se dietro la gara Franceschini-Bersani si finirà per riproporre l’enesima riedizione dell’eterno duello D’Alema-Veltroni.

«Vedo in giro tante candidature ma poche idee - avverte Enzo Carra - in due anni il Pd ha bruciato un segretario (Veltroni) e mezzo (Franceschini). E D’Alema appoggia Bersani ma si tiene aperta la porta per tornare in campo lui».

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