Lavori pubblici, il «cantiere Italia» a due velocità

Caro Dr. Granzotto, ricevo dalla rivista Il Duemila un inserto dal titolo «Mezzo secolo per non costruire un ospedale...», dove sono elencate una serie di opere mai completate. L’elenco inizia con l’ospedale di San Bartolomeo in Galdo (Benevento) iniziato nel 1958 e mai entrato in funzione; definitivamente cancellato nel 2008 dal piano sanitario nazionale. Si menziona poi l’ospedale di Pogerola ad Amalfi (Salerno) che, dopo una serie interminabile di lavori di ristrutturazione, costati 10 milioni di euro, versa nel degrado più assoluto; addirittura la rampa di accesso al pronto soccorso è così stretta che le ambulanze non ci possono passare! E poi l’ospedale di Rosarno (Reggio Calabria); la diga di Gimigliano sul fiume Melito (Catanzaro) progettata nel 1978 e non ancora funzionante; la diga del Menta nell’Aspromonte iniziata nel 1985 e in attesa di ultimazione dei lavori; il palazzetto dello sport di Cantù costruito con i fondi dei Mondiali del ’90 e ancora incompleto; la variante di valico dell’A1; la superstrada Perugia-Ancona; il Teatro Nuovo di Giarre i cui lavori, iniziati nel ’52, sono ancora in corso; il museo Antiquarium di Ercolano costruito 35 anni fa e mai aperto al pubblico e di seguito ponti, carceri e chi più ne ha più ne metta. Dopo aver letto mi è sorta la considerazione che nel famigerato ventennio, nonostante tutti gli errori che vengono rinfacciati alla «buonanima», sono state fatte tante opere che, con i mezzi di allora, erano anche più difficili da realizzare. Dal ’45 i ventenni trascorsi sono più di tre e, nonostante la tecnologia e le possibilità attuali, siamo costretti ad assistere impotenti a questi scempi che testimoniano l’incapacità e l’incoscienza di coloro che maneggiano il denaro di noi tutti.
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Non è proprio così, caro Sivieri. Per tutto il dopoguerra fino alla metà degli anni ’60 furono realizzate opere imponenti in tempi oggi considerati miracolosi. Certo, c’è il caso di quell’ospedale a San Bartolomeo in Galdo la cui prima (e metaforicamente ultima) pietra fu posta nel 1958. Ma gli ospedali non fanno testo: in quegli anni non c’era politico di destra o di sinistra che non brigasse per edificarne uno nel proprio paesello o comunque nella circoscrizione elettorale di sua pertinenza. Magari piccolo, magari a duecento metri di distanza da quello del politico rivale, ma al taglio del nastro di una «struttura sanitaria» pochi se non pochissimi sapevano rinunciare. Malauguratamente i più furono costruiti e inaugurati mentre qualcuno rimase al palo, come è il caso di quello da lei ricordato. Per il resto il «cantiere Italia» andò avanti a tutto vapore. Pensi solo all’Autostrada del Sole, la cui tratta Milano-Roma fu terminata, valico dell’Appennino compreso, in soli sei anni. Quanti ce ne vogliono oggi per partorire un semplice studio di fattibilità. Cioè carta. Sei anni, caro Sivieri, nonostante la tenace opposizione del Partito comunista al progetto e l’opposizione - cortei, pacifica occupazione dei cantieri, interruzioni della viabilità ordinaria - dei Comuni (amministrati da giunte di sinistra) toccati dall’autostrada. Ne nacquero centinaia di contenziosi e altrettante denunce, ma i lavori non si fermarono un solo giorno. Bé, come lei dice quella volontà di fare e fare bene sembra proprio essere andata perduta. Oggi in sei anni non si riesce a tirar su neanche un ufficio postale. Oggi una brigata di valligiani riesce a bloccare, apparentemente sine die, la realizzazione della tratta ad alta velocità tra Lione e Torino, opera di interesse nazionale e europeo.

Sono i guai della democrazia partecipativa, caro Sivieri, quella del «confronto argomentato» e del coinvolgimento diretto dei cittadini nelle decisioni del potere esecutivo. Quella democrazia partecipativa che induce a sospirare: «Eh, quando c’era lui, caro lei...».

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