Lega e Pdl fanno pace (per ora) sui ministeri

RomaNon cambia niente, il problema slitta. Alla Camera passa una versione edulcorata del «decentramento» dei ministeri. Un testo concordato nella serata precedente, a Palazzo Grazioli, dai vertici di Pdl e Lega, e inserito tra gli ordini del giorno accolti indistintamente dal governo, compresi quelli che prescrivono l’esatto contrario. Il compromesso raggiunto dalla maggioranza, dopo gli ultimatum di Pontida, dice che non verranno trasferiti ministeri al nord, ma solo che il governo potrà istituire «sedi di rappresentanza operative» fuori da Roma. E tutto - si precisa per placare l’ira di Alemanno e Polverini - nel pieno rispetto del «principio della unicità della sede» delle funzioni di governo e «della Costituzione che assegna a Roma lo status di capitale». Oltre a prevedere che le sedi di rappresentanza» non comportino maggiori oneri». Visto e firmato dai capigruppo di Pdl e Lega (Alemanno esulta: «Il caso è chiuso», la Polverini minaccia: fermate la raccolta firme, la Lega spernacchia «ci fermeremo a un milione»).
Qualcosa di molto diverso dagli annunci di Pontida, cioè quattro ministeri al Nord, tra Monza e Milano, compreso il Tesoro e il Viminale. Bossi commenta sibillinamente che «bisogna fare un passo alla volta, non si può avere tutto subito». Quel che vuol dire è che il vero decentramento si discuterà più avanti, perché procede la raccolta firme per la proposta di iniziativa popolare presentata sul pratone di Pontida. E quando arriverà in Parlamento si riaprirà il problema, per ora accantonato. Bossi avverte che non farà «passi indietro» (e il sindaco di Roma giura altrettanto...), perché «tutta l’Europa ci obbliga a fare quella roba lì, la fanno in Gran Bretagna e Germania, è necessario». «Abbiamo raccolto le firme, 12 mila solo il primo giorno, possibile che in una settimana diventino 100mila» ha spiegato il capo della Lega, che sta giocando su più piani, anche in tema di alleanze possibili. E infatti sulla legge elettorale dice «si può fare un accordo con l’opposizione». E Berlusconi premier nel 2013? «Sì se fa quel che gli chiediamo».
Che l’ordine del giorno (un istituto di scarso rilievo parlamentare) non rappresenti una svolta lo dimostra il fatto che l’esecutivo ha dato parere favorevole a tutti gli odg, anche quelli del Pd, Idv e Udc, tutti contrari. Poi si è creato un pasticcio, dopo uno speech iniziale della Bindi (vicepresidente della Camera) che sembrava aver stabilito che una volta votato l’odg di Franceschini sarebbe stato automaticamente precluso quello della maggioranza. Quindi è subentrato Fini alla guida, che ha dato facoltà di votare ogni odg, indicazione però interpretata diversamente dal Pdl che non ha chiesto il voto («un trucco per evitare di andare sotto, grazie ad un artificio non regolamentare» attacca il piddino Giachetti, mago dei tecnicismi d’aula) ma ha ritenuto soddisfacente l’accoglimento del governo. A quel punto è nato uno scontro tra il capogruppo del Pdl Cicchitto e Fini, che ha accusato la maggioranza di «bizantinismi» e «furberie tattiche». Accusa respinta da Cicchitto e anche dalla Lega, che è uscita dall’aula. Intanto nel gruppo alla Camera della Lega ci potrebbero essere novità. Oggi i deputati votano sul rinnovo o la riconferma di Marco Reguzzoni, il cui mandato di un anno è in scadenza.

Da Bossi non sono arrivate indicazioni, anzi, il capo ha detto ai suoi deputati: «Siete maggiorenni e vaccinati, decidete voi». Una non-indicazione che potrebbe precludere ad un cambio, anche se Reguzzoni prevede che non succederà «niente di trascendentale».

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