La «nazionalizzazione» della Lega Nord indica il passaggio che ha compiuto la questione settentrionale dagli inizi dei nostri giorni.
La Lega è nata dalla protesta dell'arco alpino contro una politica da cui si sentiva esclusa mentre sapeva di rappresentare una parte viva del Paese. Essa partì alternando il tema della secessione a quello della rivoluzione federale di cui interprete sistematico fu Gianfranco Miglio. La padania come entità storica non esisteva, ma come realtà economica e sociale sì. Non avendo mai avuto un proprio Stato essa era un costume sociale e una cultura, ma non una entità politica. La posizione estrema del movimento apparve nel fatto che esso avesse anche forme religiose che non ha ancora del tutto abbandonato, come una sorta di sacralità del dio Po e delle sue sorgenti. Ambiva, anche con le croci celtiche, ad apparire un tentativo di neopaganesimo, ma mancava in Italia un sentimento etnicistico profondo. Il cattolicesimo era da troppo tempo la cultura italiana, in particolare del lombardo veneto, perché fosse possibile fondare su quelle radici la proposta di una riforma politica che sconvolgesse la stessa percezione spirituale, una sorta di sacro naturalistico. Ma non mancarono simpatie leghiste con la riforma ginevrina e nemmeno contatti con la Baviera come Stato federale.
Umberto Bossi non è stato solo il fondatore del movimento, la sua persona ha assunto un ruolo quasi sacro che la malattia non piega né spezza, ma rende quasi ancor più significativo. Abbiamo un movimento di identificazione con Bossi che ha un sapore direttamente religioso, qualcosa di ispirato aleggia sulla sua figura, il suo parlare difficile diviene quasi oracolare. Ma è questa dimensione sacrale che ha permesso a Bossi il suo movimento nella politica variando di volta in volta radicalmente non solo la tattica ma anche la strategia. Condusse la Lega dal vedere in Berlusconi un berluskaiser sino alle cene di Arcore. Si è reso conto che esiste il problema del Nord come problema di libertà e di smantellamento di un potere che lo occupa: burocratico, finanziario, bancario, politico. Giunse persino a toccare, con Giulio Tremonti, il potere più assoluto in Italia, quello della finanza, proponendo che i consigli delle fondazioni bancarie fossero affidati ai consigli comunali. Naturalmente la Corte costituzionale, il potere che tutela tutti i poteri di fatto nella società italiana, impedì questa rivoluzione nel cuore del sistema: ma era una vera rivoluzione del sistema Italia, uno dei più sostanziali poteri forti. Ora Bossi ha fatto superare alla Lega Nord il momento del suo passaggio costituzionale: la riforma, che porta la sua impronta nella Costituzione elaborata dalla scorsa legislatura, è stata bocciata dagli elettori, non tanto per il suo contenuto, ma perché è sembrata diminuire le garanzie sanitarie per gli italiani del Sud. La riforma era troppo «leghista» per essere appoggiata da tutto il centrodestra, specie dai postdemocristiani. Così è uscito di scena il tema che lo dominava da cinque legislature, il tema della riforma della seconda parte della Costituzione.
Ma Bossi è riuscito a superare anche questo momento e il tentativo, forte nella Lega, di riprendere autonomia dalla Casa delle libertà e trattare la sinistra sul federalismo fiscale. Bossi ha capito bene che il Paese è diviso in due schieramenti e che il tema del Nord, il tema della libertà, è diventato un problema civile di fronte alla concentrazione schiacciata a sinistra di tutti i partiti della prima Repubblica. Le manifestazioni di Roma e di Milano sono state il segno che Bossi intende mantenere la Lega come partito nazionale non solo regionale e spiegare la riforma federale come forma di libertà a tutte le aree del Paese. A Roma è comparso accanto a Berlusconi e Fini e a Milano ha fatto applaudire Berlusconi dal popolo della Lega Nord. E in un articolo ha difeso il presepe natalizio, la Chiesa ed il Papa.
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