Oltre alla garbata incisività con cui viene trattato il tema delleutanasia, ciò che più affascina de Il sorriso di Daphne, pluripremiato lavoro di Vittorio Franceschi ora in cartellone al Valle, è la sua indubbia propensione per il chiaroscuro. Basti pensare al deciso taglio di luce iniziale che irrompe nel grigiore della scena; alla malinconia di fondo che trasuda dai passaggi più lievi; alla meticolosa alternanza di commedia e tragedia che caratterizza trama, personaggi, linguaggio, regia. Ecco perché questo spettacolo, diretto da Alessandro DAlatri e interpretato dallo stesso Franceschi insieme a Laura Curino e Laura Gambarin, già da alcuni mesi va mietendo successi in tutta la Penisola. In effetti, gli obiettivi dellautore - artefice di una solida partitura a tre voci in cui si parla di conoscenza e di malattia, di sogni esotici e di fede religiosa, di legami familiari e di sentimenti amorosi, di passioni, paure e, soprattutto, di morte - trovano totale riscontro nellottima prova interpretativa dei tre attori e nella bella regia di DAlatri, non scevra da riferimenti allesperienza cinematografica del regista.
Calato in uno spazio chiuso e polveroso dove campeggiano unalta libreria posta sul fondo (una «foresta del sapere» che rievoca certe storiche regie ronconiane) e un violino/ricordo incassato nel muro, lanziano botanico Vanni (un Franceschi umanissimo, ironico e insieme dolente) conduce la sua lotta per la sopravvivenza giocando una duplice partita con gli affetti. Da una parte, con la sorella Rosa (una donna semplice e di buon senso cui la Curino sa regalare uninterpretazione splendida); dallaltra, con la giovane ex-allieva Sibilla (efficace la prova della Gambarin, malgrado qualche rigidità forse evitabile), promettente studiosa con cui il professore ha avuto una relazione e alla quale egli, ormai prossimo alla fine, affida il difficile compito di «staccare la spina».
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