La capanna dello zio Tom è diventata la Casa Bianca: la lunga storia degli schiavi neri importati dalle potenze coloniali europee nelle Americhe è giunta al potere nel più potente Stato americano. Chi l’ha condotta a questo risultato non è un discendente degli schiavi ma è il figlio di un rispettabile dirigente politico del Kenya, ministro del governo di Kenyatta, un notabile dell’Africa profonda, appartenente alla tribù dei kikuyu, oggi in minoranza, ma che produssero i Mao mao, i guerriglieri che combatterono sua maestà britannica e ottennero l’indipendenza.
Obama è entrato nella classe dirigente americana dalla porta dell’università di Harvard, appartiene al livello alto del Paese, all’élite che beve whisky e non birra. Non rappresenta Joe l’idraulico, il lavoratore bianco che ha votato per la Clinton e ora per McCain. Dirigente il padre in Kenya, dirigente il figlio negli Stati Uniti. Obama è stato votato non come un candidato presidente ma come un salvatore ed è per questo che è riuscito a battere, non tanto McCain, che non poteva non battere, ma Hillary Clinton, la dirigenza democratica, i lavoratori bianchi. La guerra delle «due rose» tra i Clintons e i Bushes aveva esaurito l’immaginario sia dei democratici che dei repubblicani, le due grandi tradizioni del Paese non erano in grado di scaldare i cuori ed illuminare le menti.
Il grande mito del capitalismo americano come sistema del progresso continuo e delle crisi insolvibili con mezzi interni al sistema è crollato consumando sia l’identità liberista di Ronald Reagan, sia l’eclettismo di Bill Clinton. E anche l’immaginario repubblicano era esaurito, la lotta di McCain fu disperata e ricorrere a Sarah Palin voleva dire uscire fuori dall’orto repubblicano tradizionale. Ci voleva dunque un salvatore, un uomo che facesse sentire l’America innocente e addossasse a Bush l’immagine dell’America colpevole. Un uomo che avesse un immaginario proprio diverso da quello della religione civile, della libertà e del sogno americano: un salvatore come liberatore del suo popolo dalla lunga tradizione antinegra della storia americana: un Paese che aveva proclamato il diritto alla felicità sulla base di un’economia schiavista e dovette poi, con una drammatica guerra civile, estendere a tutti gli uomini la possibilità di essere americani a pieno titolo.
Barack Obama ha espresso questo mito come quello di un negro che parla il linguaggio della classe dirigente americana e che lo parla in quanto nero: con l’espressione di un implicito della Costituzione americana che non è più la libertà ma l’eguaglianza. In questo modo l’America è entrata nel quadro europeo in forma americana: ha eletto un salvatore che esprime la liberazione di un popolo e quindi ha un messaggio salvifico, ricostituisce il mito americano sul tema dell’eguaglianza reale e quindi della partecipazione al potere degli afroamericani.
È la prima volta, dopo Lincoln, che un messaggio carismatico risuona nelle elezioni americane e porta in America il mito europeo della politica salvatrice che si fonda, non sulla continuità, ma sulla discontinuità, perché introduce l’eguaglianza reale come fine della libertà. McCain non aveva tutti i torti quando nel suo linguaggio aggressivo definiva Obama un «socialista», espressione di un cambiamento reale nei riferimenti ideali nella società borghese.
Obama non rappresenta un messaggio politico, anzi su questi temi egli ha abilmente mantenuto come criterio l’omissione e la variazione, sicché nessuno può dire quale sarà la politica sia interna, che economica che estera del presidente Obama. Egli ha parlato un linguaggio religioso, ma la sua religione era quella nutrita dal reverendo Wright che esprimeva nella frase «Dio maledica l'America» impersonando il grido del popolo nato dalla schiavitù. È su questa volontà di liberazione che Obama è nato e da essa nasce la sua figura di liberatore del suo popolo. Non a caso la moglie Michelle ha dichiarato all’inizio della campagna che si sentiva americana solo dopo che il marito era stato candidato e aveva ottenuto voti.
Il carisma di Obama ha la forza di una minoranza, per questo il suo tema è quello dell’eguaglianza da conquistare e non quello della libertà conquistata.
Obama dovrà fare della sua presidenza una perpetua campagna missionaria, per ridare con l’uso di un linguaggio religioso indefinito una figura nuova alla politica americana. L’America diviene più simile all’Europa, dominata nel Novecento dal tema dell’eguaglianza: meno simile all’America come terra della libertà.bagetbozzo@ragionpolitica.it
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