Sanremo - Massì, più che una cantante Leona Lewis è un fenomeno. Anzi, è la storia che tutti vorrebbero sentirsi raccontare. Inglese della periferia londinese di Islington, è diventata un best seller mondiale grazie a un programma tivù, X Factor, che nel 2006 in Gran Bretagna (ma il programma partirà anche in Italia tra due settimane) ha combinato ciò che raramente riesce alla tv: creare una star che sopravviva anche a schermo spento. Detta una, dette tutte: secondo la sua casa discografica Sony Bmg, Leona Lewis è una priorità al livello di Beyoncé. C’è di più: ieri sera appena arrivata a Montecarlo, ha chiesto una tastiera Yamaha per provare la sua canzone. E basta vederla, questa ventitreenne alta come una statua ed elegante come una étoile, per capire che la televisione stavolta ci ha azzeccato e ci azzeccano anche tutti i giornali che negli ultimi mesi hanno srotolato tutti la stessa sentenza: La Lewis è uno dei volti da tenere d’occhio nel 2008. Motivazioni variabili: è la «nuova Mariah Carey», è «la rivelazione dell’anno» e via dicendo. Ora che arriva al Festival, e stasera canterà sul palco la sua Bleeding love, la sentenza passa a noi e, volendo scommettere, questo sarà il pezzo più trasmesso dalle radio dopo che il baraccone del Festival sarà andato in vacanza.
Leona Lewis, lo sa che i giornali non ci credono che una diva lanciata dalla tv come lei sia davvero timida?
«Credo che molte persone si riconoscano in me, timide in certe situazioni. Ci metto un po’ di tempo ad aprirmi. Ma c’è differenza tra essere chiassosi ed essere sicuri di sé, e io certamente ho fiducia in me stessa».
Forse perché, inseguendo il sogno del pop, ha accettato anche di fare la cameriera da Pizza Hut a Londra.
«Ma io non ho mai pensato di fare altro, a parte cantare. Quando qualcuno mi chiedeva “cosa vuoi fare da grande?”, ho sempre risposto la cantante. E loro: “no, seriamente, cosa vuoi fare da grande? Veramente la cantante?”. Io: “voglio davvero fare la cantante!”. Probabilmente il primo ricordo che ho è di quando cantavo sul sedile posteriore della macchina di mio padre: lui faceva il dj part-time e io cantavo i suoi dischi, molti dei quali hanno influenzato il mio gusto musicale».
Quali sono?
«Una delle prime canzoni che ho sentito era probabilmente di Minnie Riperton. Ascoltavo molto anche Michael Jackson e Whitney Houston. Canzoni belle e potenti. Adoro cantare My Funny Valentine, soprattutto la versione di Chaka Khan perché va su e giù con la voce ed è ottimo per l’estensione. E anche Anytime You Need A Friend di Mariah Carey è sempre bella da cantare, dà sensazioni positive».
Eccola qui, Mariah Carey. Molto dicono che lei sia la sua erede.
«È incredibile... Whitney Houston e Mariah Carey hanno carriere fortunate e longeve, e ovviamente io ho ancora molto lavoro da fare. Quando canto quelle grandi ballate, alla gente viene naturale paragonarmi a quelle grandi cantanti, e per me è incredibile. Non me lo sarei mai aspettato».
Dalla terza edizione di X Factor fino al Festival di Sanremo è un passo molto lungo.
«Ma bisogna ricordare che io vengo dall’East End di Londra e vivo nella piccola Hackney da quando ho sei anni. È un posto molto alla buona, che mi fa rimanere con i piedi per terra. È pieno di gente normale come me.
Ma X Factor l’ha fatta decollare.
«Ma la cosa che mi ha colpito è che là dicevano sempre che avrei potuto farcela, anche quando io non ne ero così certa».
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