Lettera aperta degli ex colonnelli di An: "Siamo orgogliosi di stare a fianco di Berlusconi"

Con una lettera al Giornale Alemanno, Gasparri, La Russa, Mantovano, Matteoli e Meloni spiegano perché non temono l’inchiesta di Milano: "Contro il premier solo fango, avanti tutta per i nostri elettori che ci chiedono sviluppo e legalità"

Lettera aperta degli ex colonnelli di An: 
"Siamo orgogliosi di stare a fianco di Berlusconi"

Riceviamo e pubblichiamo una lettera in cui sei ex esponenti di punta di An spiegano i motivi per cui nonostante le polemiche di questi giorni continuano a essere orgogliosi di stare col premier nel Pdl. I firmatari sono Alemanno, Gasparri, La Russa, Mantovano, Matteoli e Meloni: il loro impegno è proseguire nel lavoro intrapreso, per rispettare la volontà degli elettori.

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Uno dei filoni polemici di questi giorni chiama in causa chi è approdato nel Pdl provenendo dalla destra italiana: come fate - si dice- a essere coerenti con la vostra storia, fatta di richiami ai principi al rispetto delle regole, di fronte a quanto accade?

È evidente l’interesse di chi solleva il tema a pro­vocare fratture interne al Pdl; ma siamo convinti che la questione me­riti una risposta seria; anche per­ché è una risposta che non va in­ventata: c’è! Facciamo un veloce passo indie­tro, fino all’aprile 1948, quando gli italiani, col loro voto, rifiutarono la tentazione totalitaria e si mostraro­no in maggioranza ancorati ai valo­ri della propria tradizione. Nei de­cenni successivi, dall’apertura a si­nistra fino al «compromesso stori­co », la coerenza con la volontà del­l’elettorato venne meno, anche per la deliberata estromissione della destra dalla politica che contava: nei quasi cinquant’anni di prima Repubblica si è parlato di una «mag­gioranza silenziosa», e del tradi­mento delle sue istanze a causa di un sistema politico bloccato. L’esi­to più significativo del berlusconi­smo e dell’ingresso nella seconda Repubblica è stato proprio quello di avere dato voce - con l’ingresso della destra nel governo, e quindi con la costituzione di un unico par­tito del centrodestra­ a una maggio­ranza rimasta in silenzio nel perio­do precedente, ponendo stabil­mente in sintonia, con mille limiti e fra mille difficoltà, la maggioranza degli italiani e chi li rappresenta.

Ma non è solo una questione di riposizionamento. Se stiliamo un bilancio che annoti quanto «di de­stra », nell’accezione che comune­mente si dà al termine, si è realizza­to nella legislatura in corso, abbia­mo difficoltà a essere sintetici. Ap­par­tiene alla nostra tradizione poli­tica il superamento del mito eguali­taristico sessantottino: le riforme della scuola media superiore e del­­l’università pongono punti chiari in tema di riconoscimento del me­rito, di eliminazione di sacche di privilegio e di clientela baronale, di opportunità di valorizzazione dei giovani. Nelle nostre sezioni ab­biamo discusso per decenni della tutela del lavoro, oltrepassando il contrasto classista fra imprendito­ri e operai: Pomigliano e Mirafiori costituiscono oggi esempi signifi­cativi di un solidarismo che dimo­stra nei fatti la piena compatibilità fra espansione produttiva, ricerca di competitività e responsabilità sindacale. Ciò che è stato possibile grazie alla parte maggioritaria del sindacato e al fattivo sostegno del governo in carica. È stato possibile perché- in un contesto internazio­nale di crisi così pesante - si è scel­to di non lasciare indietro nessu­no, con l’estensione della cassa in­tegrazione, spesso in deroga o in via straordinaria.

Per anni, a destra, abbiamo dife­so quasi in solitudine la bandiera della nostra patria quando sembra­va eversivo esporla in pubblico in occasioni che non fossero quelle calcistiche. Oggi, nel 150˚ dell’uni­ficazione, quella bandiera svento­la in territori difficili e complicati. Sventola sul lavoro svolto con gene­rosità e coraggio da tanti militari italiani, teso a ricostruire, a estirpa­re le minacce terroristiche, a dare un futuro a popolazioni oppresse, talora pagando il costo più elevato della propria vita. Sventola anche per la determinazione politica del­l’esecutivo, e della maggioranza che lo appoggia, di non farsi condi­zionare dagli attacchi, anche dai più feroci. In ogni luogo del mondo la de­stra viene identificata con uno slo­gan forse sbrigativo, ma chiaro da intendere: «Legge e ordine».

Può apparire singolare questo richia­mo, nel pieno delle polemiche in corso. Ma sarebbe ancora più sin­golare mettere da parte il lavoro enorme svolto dai corpi di polizia, e da quella parte della magistratu­ra che opera senza clamore e con risultati, nel contrasto alla crimina­lità mafiosa: da Castevolturno al Gargano, da Palermo a Reggio Ca­labria, i successi contro le varie or­ganizzazioni criminali, le catture di latitanti, i sequestri e le confi­sche dei beni, la capacità di interve­nire «prima» (come è accaduto per il tentativo della ’ndrangheta di in­filtrarsi nei lavori di Expo 2015, stroncato sul nascere) hanno as­sunto uno spessore quantitativo e qualitativo senza precedenti. Meri­to di chi opera in prima battuta, ma pure di leggi che abbiamo forte­mente voluto, e che hanno prodot­to e stanno producendo questi ri­sultati. Per non dire del blocco dei clandestini a Lampedusa. Sarebbe fuori luogo continuare nell’elenco, che vuole essere solo esemplificativo, non esaustivo, di un lavoro che intendiamo prose­guire e completare- se sarà possibi­le - nell’arco della legislatura.

A chi si straccia le vesti per ciò che emer­ge dall’indagine della Procura di Milano, e che si meraviglia se, con la nostra storia, non prendiamo le distanze e non concorriamo a chiu­der­e quella che viene definita la sta­gione del berlusconismo, rispon­di­amo che esiste una linea di confi­ne invalicabile fra i comportamen­ti privati e i gesti pubblici. Chi ci ha votato anzitutto desidera gesti pub­blici: il rilancio dello sviluppo, fon­dato sulla tenuta dei conti finora re­alizzata, la definitiva sconfitta del­la mafia, dopo tante battaglie vin­te, la completa realizzazione di in­frastrutture attese da anni, l’appli­cazione delle riforme approvate, dal federalismo all’università. A chi obietta che in ciò che noi rite­niamo appartenente al «privato» la magistratura ha individuato dei reati (e quindi non è più «priva­to »), rispondiamo che il rispetto per l’istituzione «magistratura» non vieta di valutare il senso e la portata delle iniziative persecuto­rie che da 17 anni interessano Sil­vio Berlusconi.

L’ultima in ordine di tempo è esemplare per il caratte­re strumentale e delegittimatorio nei contenuti (ipotesi di reati che trovano smentita negli stessi docu­menti del procedimento), nelle for­me ( non si è mai visto un decreto di perquisizione di 400 pagine, il cui unico risultato è stato di rendere pubbliche le indagini già svolte, senza che vi fosse alcun vaglio in contraddittorio), e quindi negli obiettivi: gettare fango su Berlusco­ni. È grave che chi ci chiede coeren­za non colga che una parte della magistratura italiana ha da tempo assunta su di sé una funzione mili­tante, tesa a vanificare l’azione di governo (si pensi al terreno dell’im­migrazione) e di chi guida il gover­no, e addirittura a sanzionare i comportamenti che valuta non già illeciti, bensì immorali. Rispettare i poteri e gli ordini dello Stato non significa avallare il tentativo di una parte di loro di svolgere funzioni che non le competono.

Sul piano politico, spetta agli elettori decide­re se e in quale misura comporta­menti privati incidano sulla scelta di chi chiamano al governo. La destra italiana intende conti­nuare, con questo governo e con chi lo guida - così come è avvenuto finora - il lavoro intrapreso per da­re seguito alla volontà della mag­gioranza degli italiani. Spesso una parte significativa del dibattito sui media concentra l’attenzione sui «diritti delle minoranze». Ma tanti italiani (il 75%!) nel 2005 hanno di­feso col non voto una buona legge sulla fecondazione artificiale, nel 2007 hanno popolato la piazza del Family day , nel 2009 hanno apprez­zato la posizione del governo Ber­lusconi su Eluana, accettano i sacri­fici perché consapevoli della neces­sità della tenuta economica, vor­reb­bero i giudici impegnati nel san­zionare i rapinatori più che nell’ori­gliare a spese dello Stato fatti privi di rilievo penale, considerano eroi i nostri militari impegnati nelle missioni all’estero.

Ecco,questi uo­mini e queste donne da tempo si chiedono: noi che apparteniamo a famiglie normali, che non rivendi­c­hiamo i matrimoni per gli omoses­suali, che diamo figli alla Patria e alle sue missioni, che vorremmo vi­vere in quartieri in cui la conviven­za non sia posta a rischio dall’im­migrazione clandestina, noi che siamo cristiani, per lo meno quan­to a tradizione, che non pensiamo che sulla vita vadano operate speri­mentazioni, che facciamo: dobbia­mo sentirci in colpa? Il «berlusconismo» ha avuto e ha il merito di non far considerare que­sti italiani, che sono la maggioran­za, dei minorati, ma di rendere loro orgogliosi della nazione

in cui vivo­no. Meglio ancora: è il centrode­stra che, con gli italiani, ha permes­so tutto questo. Di esso noi siamo parte findall’inizio,e al suo interno intendiamo continuare a operare per il bene della nostra patria.

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