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I libri veramente giganteschi? Tutti quelli che stanno in tasca

Aldo Lo Presti, attraverso un’antologia, racconta la nascita e l’ascesa delle collane economiche

I libri veramente giganteschi? Tutti quelli che stanno in tasca

Nella Storia illustrata dei Tascabili di Aldo Lo Presti (Luni edtrice, pagg. 240, euro 25) appaiono, per la prima volta in forma antologica, tutti i testi editoriali che hanno accompagnato la nascita e l’uscita nelle librerie e nelle edicole delle molte collane economiche. Ecco un assaggio della introduzione.

Un percorso che ha aperto la strada alla definizione pressoché definitiva del dizionario Treccani (che si cita nella versione on-line) pronta a sintetizzare scopi e caratteri dell’espressione tascabile , che, pertanto, fu tutt’altro che «rara a fine ottocento », come pure s’è scritto recentemente: «Tascàbile agg. (der. di tasca). – Che si può mettere e portare in tasca: libri t. o di formato t. (anche sostantivato: un t., i tascabili), libri di piccolo formato, in genere editi in collezioni economiche (cfr. pocket-book) ma anche di pregio: un manuale, un vocabolario t.; un’edizione t. della Divina Commedia ».

E dal momento che «…le “tasche” e le “taschete” menzionate negli scritti dei secoli XIV e XV sono borse o scarselle», il primato del Vizzani non può essere messo in discussione per “la penna ed il calamaio” di Matteo Maria Boiardo che pure cantò, negli anni 80 del sec. XV, d’un libro d’incantesimi regalato ad Orlando e nascosto in una tasca (senza, però, specificare se fosse già un libro stampato oppure ancora manoscritto) ma che tasca, come sappiamo, non era ma, per l’appunto, una scarsella !

Bene. Così attrezzati, andremo ora alla ricerca dei nostri tascabili , partendo dal sec. XIX, il secolo che convenzionalmente separa il libro antico da quello moderno, e intendo per nostri quelli ricompresi nelle nostre biblioteche casalinghe, fatta salva la gran parte delle produzioni ottocentesche (troppo costose per le nostre… tasche), ma avendo sempre bene a mente che «…nello scegliere l’edizione da comprare, si deve badare) non (tanto) ]alla carta e alla legatura», ma alla «bontà dei testi» evitando di acquistare così «il maggior numero di classici in edizioni simili per amore dell’uniformità », a meno che non ci si innamori, per varie e non tutte esecrabili ragioni, d’una qualche collana economica, come la BUR o la COLIP, dovendone, in questo caso, necessariamente comprarla tutta in virtù del suo proprio timbro, voce, necessità, vita avventurosa, temperamento e carattere (per stare nella fabbrica di Paolo Di Paolo).

Siamo grati, infine, a Tommaso Porcacchi che a Venezia (il luogo dei libri per eccellenza) curò la stampa della prima di queste serie editoriali, la «Collana historica », che comprendeva le opere volgarizzate di dodici storici greci, una collana stampata da Gabriel Giolito de’ Ferrari dal 1563 al 1585, un’iniziativa a partire dalla quale è invalso l’uso metaforico del termine: ogni opera era un “anello” o una “gioia” della collana, per come scrisse il sunnominato Porcacchi nello scritto intitolato Il Frutto et l’utilità che si cava dalla lettione delle Historie ec. inserito nel volume Ditte Candiotto l’et Darete Frigio della Guerra Troiana del 1570: «Io son venuto a quel termine, che già tante volte in tante dedicationi, & prefationi mie ho pro messo al mondo; di dover concatenare insieme gli Historici antichi Greci, de’ quali s’è formata questa prima Collana ».

Ma sia che i nostri libri (non solo quelli tascabili) facciano parte d’una collana o no, sembrerebbe che tutti questi volumi non possano non essere ricompresi se non in sole due categorie, i libri buoni (alla Rousseau) o i libri cattivi (alla Hobbes), una dicotomia del tutto irriducibile che, però, Leopardi provò a risolvere zibaldoneggiando con la consueta sicurezza: «Ogni libro ha obbligo di esser bello in tutto il rigore di questo termine: cioè di essere intieramente buono», e così delegando agli editori il compito di «…propugnare l’istruzione generale e l’amore allo studio, specialmente nelle classi popolari, pel suo massimo buon mercato», per come s’espresse, ad esempio, l’editore Sonzogno presentando i volumetti della “Biblioteca del Popolo”, un periodico mensile postale ch’ebbe notevole diffusione nella nostra penisola, ma senza alcun effetto positivo generale per il buon andamento della cosa pubblica.

Si sottolinea, infine, che gli editori che hanno pensato fosse possibile inserire dei libri tascabili nelle loro biblioteche popolari, universali, economiche e, per l’appunto, tascabili, hanno tutti operato affinché potessero raggiungere un pubblico di possibili acquirenti il più vasto possibile (coincidente, di volta in volta, con una platea di lettori ideale ma esigua nella sua numerosità, sino alle masse obbligatoriamente scolarizzate a noi più contemporanee), utilizzando tutte le strategie distributive a loro disposizione (al netto d’ogni ristretto regionalismo), cosicché – a nostro avviso – non c’è nessuna differenza fra l’associazionismo a collane chiuse (in abbinamento ai servizi postali della prima metà dell’Ottocento) e lo sfruttamento della magmatica rete (sempre più fitta) dei chioschi dei giornali sin dal loro primo apparire, con una prima, significativa, coda con la stampa degli Oscar Mondadori da edicola (a ricalcare esperienze preesistenti, adottate già dalla stessa casa editrice milanese e prima ancora dalla Sonzogno, egualmente di Milano)33 e poi con il fenomeno altrettanto dilagante dei libri collaterali del primo Venticento allegati ai quotidiani e ad altri giornali e riviste a varia periodicità. Fondamentali per ricostruire la ragnatelaeditoriale tascabile seguente sono stati i volumi di Bruno Pischedda (La competizione editoriale), di Nicola Tranfaglia e Albertina Vittoria (Storia degli Editori in Italia), nonché i due magnifici tomi dedicati agli Editori dell’Ottocento della Franco Angeli e la puntuale Storia della lettura di Alberto Manguel, senza dimenticare, naturalmente, i volumi consacrati rispettivamente alla casa editrice di Giuseppe Pomba (Utet) del Firpo e quello di Umberto Vichi dedicato ad Edoardo Perino, stampatore per il popolo .

A proposito del quale Perino, già titolare della prima agenzia giornalistica aperta a Roma (cioè, come a dire: il primo giornalaio), val la pena di anticipare che, con la serie Leggere in Ferrovia distribuita in “tutte le stazioni ferroviarie d’Italia” dal “comodo formato e la piccolissima spesa”, anticipò gli stessi Penguin, oggi celebri e celebrati volumetti brossurati.

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