Milano - «Ti bacio lungamente, e ti stringo a me strettamente, teneramente, follemente». Strettamente, teneramente e follemente Guglielmo Marconi - una delle menti più brillanti e dei cuori più palpitanti della propria epoca - amò ricambiato una ragazza romana, Nene Tornaghi, della quale purtroppo poco o nulla sappiamo, come nulla del resto si sapeva di questa rocambolesca e tormentata liaison. Fino a oggi, quando dai cassetti di un collezionista privato è spuntato un inedito carteggio sentimentale: diciannove lettere autografe del premio Nobel per la fisica che saranno messe all’asta dalla casa inglese Bloomsbury mercoledì 18 giugno a Roma, a Palazzo Colonna. Stimata fra i 15 e i 20mila euro, la corrispondenza che testimonia la segreta «interferenza» nella vita matrimoniale dell’inventore della telegrafia senza fili è composta da oltre 60 pagine manoscritte, datate tra il 6 febbraio e il 27 marzo 1917, di lettere spedite con cadenza quasi giornaliera. «Se sapesse come sono lunghe le ore, come i giorni paiono secoli quando non arriva una sua lettera», scrive a un certo punto Marconi.
Padre bolognese e madre irlandese, era cresciuto bilingue. Battezzato cattolico e allevato dalla madre nella fede anglicana, frequentava la chiesa valdese. Autodidatta e inventore dilettante, diede lezione agli scienziati di tutto il mondo collegando senza fili - era il dicembre del 1901 - la Cornovaglia al Canada. Guglielmo Marconi - uno per il quale la parola genio non aveva senso: «Non credete ai geni, esistono solo persone tenaci», amava ripetere - affiancò sempre al proprio talento inventivo una spiccata abilità industriale, e alla vita matrimoniale frequenti avventure sentimentali.
Per la bella Nene, come racconta il carteggio ripescato dal dimenticatoio della Storia, perse completamente la testa. Almeno per qualche mese. «Cosa è mai stato nella luce del suo sguardo, nelle emanazioni radiose e potenti della sua anima, che mi hanno fatto sentire - e sentire per lei - ciò che non ho mai prima sentito in vita mia?», scrive lo scienziato alla misteriosa ragazza romana, della quale si sa solo che apparteneva all’alta borghesia capitolina; abitava in un bel villino stile Anni Venti in via delle Tre Madonne, ai Parioli; non poteva inviare le sue lettere a casa Marconi per non essere intercettata dalla moglie; ed era costretta a vedere il suo amato solo in pochi luoghi «sicuri»: al prestigioso Circolo della Caccia del quale Marconi era socio e assiduo frequentatore; a Villa Borghese, dove i due amanti facevano lunghe e discrete passeggiate; addirittura in una saletta appartata di Palazzo Madama, tra una seduta e l’altra del Senato.
All’epoca quarantatreenne, Marconi era già Marconi: aveva già ottenuto il Nobel, nel 1909, era titolare di un’avviata società commerciale, era Senatore del Regno, e il suo matrimonio con l’aristocratica inglese Beatrice Inchiquin O’Brien era già in crisi, anche se il divorzio avverrà solo nel ’24. «Fu un matrimonio all’inizio molto riuscito e poi tempestoso: un po’ per i distacchi, un po’ per il temperamento mondano di lei, un po’ (forse soprattutto) per la distrazione con cui papà seguiva le vicende familiari e si concedeva numerosi intermezzi extraconiugali - ricordò anni fa Degna Marconi Paresce nel libro Marconi, mio padre -. La crisi diventò a un certo punto insanabile. I due si separarono e divorziarono». Ottenuto anche l’annullamento del matrimonio dalla Sacra Rota, nel ’27 Marconi sposò la marchesa Maria Cristina Bezzi Scali (bellissima: «la più bella scoperta della mia vita», ripeteva orgoglioso lo scienziato) da cui nacque Elettra, la figlia cui diede lo stesso nome del famoso panfilo di 66 metri acquistato nel ’18 per farne il più grande e moderno laboratorio galleggiante del mondo.
La storia sentimentale con Nene Tornaghi, invece, fu brevissima, seppure totalizzante (distogliendolo addirittura dalla scienza: «Da giorni non ho potuto neppure lavorare alle mie cose scientifiche che pur tanto amavo. Forse un giorno Ella mi potrà aiutare anche in quelle», scrive nel febbraio del ’17) e si snoda tra passione, desiderio, rimorsi, tensioni, interrotte dai viaggi e dalla chiamata alla leva. Nel ’17, in piena guerra, Marconi era ufficiale di Marina: «Al Comando Supremo faceva freddo - molto freddo, e sono un po’ raffreddato. Però ora mi sento già meglio. Sarà il dolce calore della vicinanza dell’Essere che tutto mi possiede. Ho pensato cose dolcissime nella quiete della notte, su vicino dove si combatte: a carezze infinite, prodigate e ricevute da Nene, ad un amore sublime», confessa lo scienziato, lamentandosi di non potere «dire» di più alla sua amata: «D’Annunzio mi ha scritto una bellissima lettera. Potessi scriverle come sa lui. Ma anche se non so scrivere credo di sentire più di quello che hanno sentito tanti poeti».
Finito l’inverno, passò la tempesta dei sensi. Il carteggio superstite non ci dice esattamente fino a quando durò la relazione. Di certo molto poco: altre avventure, scientifiche e sentimentali, attendevano il Nostro.
E sull’amore per la bella Nene calò il silenzio. Molto più lungo di quello, durato due minuti, che calò sul mondo il 20 luglio del ’27, quando, in segno di lutto per la morte dell’uomo che spezzò il Silenzio, nessun messaggio fu trasmesso o ricevuto sulla Terra.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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