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La lezione tedesca degli azzurri

Ventitré ragazzi italiani, per l’esattezza 22 italiani e un oriundo (Camoranesi), sono diventati campioni del mondo. Alcuni di questi giocatori hanno, a livello internazionale, una storia brevissima, addirittura qualcuno di loro ha fatto fatica a trovare un posto in serie A. Grosso, Zaccardo, Barzagli, lo stesso Toni, militavano o lo hanno fatto fino a due anni fa, in società considerate provinciali. Le squadre italiane di cartello, zeppe di campioni stranieri strappati al Real Madrid, al Barcellona, al Chelsea a suon di decine di milioni di euro, nelle coppe internazionali quest’anno non sono andate più in là delle semifinali.
In campo per la finalissima di Berlino, tra Italia e Francia, c’erano domenica la bellezza di otto giocatori della Juventus, praticamente un’intera squadra (senza contare gli ex). Eppure in queste ore la società bianconera rischia la retrocessione in serie C. Le intercettazioni, le testimonianze non lasciano spazio a molti dubbi: la cupola moggiana spianava la strada ai successi juventini. Lo ha riconosciuto lo stesso legale della società proponendo alla Caf una specie di patteggiamento: dateci la B e facciamola finita. Non basta. In campo o in panchina all’Olympiastadion c’erano altri otto giocatori di Milan, Lazio e Fiorentina che rischiano anche loro la retrocessione. Sono in tutto tredici campioni del mondo e tre vicecampioni che potrebbero essere «degradati» dal tribunale sportivo. Marcello Lippi, il ct del «miracolo», è stato accusato di aver spesso convocato in nazionale giocatori soltanto perché assistiti dalla Gea, società di cui suo figlio Davide è uno dei soci. Uno dei protagonisti della marcia azzurra è stato quel Marco Materazzi che fatica a trovare un posto da titolare nell’Inter, squadra che non riesce ad andare oltre un terzo posto nel campionato italiano.
A parte la stupida gomitata di De Rossi a un giocatore statunitense, il comportamento «etico» dei giocatori italiani durante le sette partite disputate ai mondiali è stato esemplare: non abbiamo mai assistito a scene isteriche, a proteste esagerate, a sceneggiate degne del miglior teatro popolare partenopeo: l’arbitro fischia, è fallo o per noi o per loro. Punto e basta.
Sugli spalti degli stadi tedeschi si sono visti tanti, tantissimi italiani. Nonostante la stampa tedesca non sia stata tenera - come al suo solito - con la nostra nazionale e con l’Italia più in generale, la condotta dei tifosi azzurri è stata ineccepibile: altro che motorini lanciati dagli spalti, petardi tirati in campo, botte con i sostenitori della squadra avversaria.
Godiamoci dunque questo bellissimo titolo mondiale conquistato, il quarto (meglio di noi ha fatto solo il Brasile che ne ha vinti cinque), nel migliore dei modi; con una squadra di lavoratori in cui anche le stelle si sono messe al servizio della comunità, con ventitré giocatori che hanno saputo davvero diventare squadra esaltando il concetto di «gruppo» grazie sicuramente al lavoro psicologico di Lippi e alla reazione provocata da Calciopoli, alla voglia di dimostrare che il calcio italiano non è, o quanto meno non è solo quello che sta andando in scena all’Olimpico trasformato in tribunale speciale.
Godiamocelo questo successo, ma chiediamoci anche perché il nostro calcio non può essere sempre quello visto in Germania. Chiediamoci il perché delle esasperazioni che fuori dai confini nazionali e dai confini del nostro campionato non sembrano avere patria. Chiediamoci perché un giocatore come Marco Materazzi si renda protagonista di episodi che lo fanno finire spesso e volentieri sulla lista dei «ricercati» quando al mondiale obbliga tutti a dire che la sua espulsione nella partita contro l’Australia è stata esagerata. Chiediamoci perché abbia bisogno di «scorciatoie» una società che schiera otto protagonisti di una finalissima iridata.
Purtroppo è dai tempi di Artemio Franchi (morto nel 1983) che la federcalcio viene gestita da presidenti senza polso, diventati via via sempre più succubi della Lega che a sua volta è diventata una specie di ring in cui si passa la maggior parte del tempo a litigare sui diritti tv. Proprio l’Italia di Lippi ha dimostrato che coi Grosso, coi Gattuso, coi Barzagli si può fare molta più strada di quanta non ne faccia chi schiera i Ronaldinho, gli Adriano e i Ronaldo. Ci riflettano i responsabili del pallone nostrano, dai presidenti di società al supercommissario. Sarebbe bello se oltre a far (sacrosanta) pulizia facessero in modo che il calcio italiano sia sempre quello che ha dimostrato di poter e saper essere in Germania. È solo una speranza, ma un mese fa era solo una (pallidissima) speranza che l’Italia potesse diventare campione del mondo.

A volte le imprese «impossibili» sono molto più semplici di quel che si crede.

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