Libano, la Russia frena la risoluzione Onu

La Casa Bianca: non bastano i soldati di Beirut al confine

Marcello Foa

Ha detto sì a San Pietroburgo e poi ancora al vertice di Roma. Ha seguito con tacita comprensione la mediazione di Usa e Francia all’Onu. Ma ieri, improvvisamente, il Cremlino ha detto no alla bozza di risoluzione sul Libano. Ed è un no che pesa, perché abbinato al diritto di veto che la Russia da sempre esercita nel Consiglio di Sicurezza, al pari degli altri quattro membri permanenti.
Ufficialmente la svolta risponde a ragioni di realpolitik. «È inutile approvare un accordo se il Libano non lo ritiene accettabile, perché ciò porterebbe soltanto al proseguimento del conflitto e delle violenze», spiega l’ambasciatore russo alle Nazioni Unite Vitali Ciurkin, che comunque lascia la porta socchiusa. «Sono in corso intensi sforzi diplomatici per trovare una soluzione gradita al governo di Beirut - dichiara in un’intervista alla tv moscovita Vesti 24 -. Ed è difficile prevedere quando verranno trovate le parole appropriate, affinché anche Israele possa accettarla». Lo scopo è ragionevole: la Russia usa la sua influenza per cercare un’intesa che soddisfi entrambe le parti e si premura di evitare all’Onu l’imbarazzo di votare una risoluzione destinata a rimanere lettera morta.
In realtà, non c’è solo il Libano dietro il voltafaccia del Cremlino. A San Pietroburgo Putin e Bush avevano deciso di accantonare i dissidi degli ultimi due anni e di aprire una nuova fase di cooperazione o perlomeno di mutua comprensione. Ma venerdì scorso il governo americano ha varato sanzioni contro sette società straniere accusate di aver venduto all’Iran materiale utilizzabile per la costruzione di armi di distruzione di massa. Tra quelle sette, due sono russe: la Rosoboronexport - guidata da un grande amico di Putin - e la fabbrica di aerei militari Sukhoi, di proprietà dello Stato. Ieri mattina il governo russo ha avvertito il Dipartimento di Stato che avrebbe considerato la decisione come «un atto ostile» e che le relazioni tra i due Paesi ne avrebbero risentito. Poche ore dopo ecco l’irrigidimento all’Onu sul Libano. Resta da capire se si tratta di una semplice ripicca o di una punizione. Nel primo caso il dissenso russo è destinato a rientrare già nelle prossime ore, nel secondo Mosca potrebbe bloccare il processo negoziale all’Onu, infliggendo un duro colpo alla Casa Bianca.
Intanto a New York il Consiglio di sicurezza si è riunito per ascoltare la delegazione della Lega araba - guidata dal segretario generale, l’egiziano Amr Mussa, e dal ministro degli Esteri del Qatar, Hamed Bin Jassim Bin Jabr Al-Thani - che ha perorato con forza le ragioni di Beirut. Ma la giornata diplomatica - ancora una volta molto intensa - è stata caratterizzata dalle reazioni all’annuncio del premier libanese Siniora, che lunedì sera ha deciso di inviare 15mila soldati nel sud del Libano. La Francia lo definisce un «passo politico molto importante» e invita i partner dell’Onu «a prenderlo in considerazione» nella discussione al Palazzo di Vetro.
Prudente apertura di Israele: «È una mossa interessante», commenta il premier Olmert, che però «vuole verificarne tutti gli aspetti» ovvero se è fattibile e in quali tempi. Da cinque anni lo Stato ebraico chiede che il sud del Libano venga sottratto alle milizie Hezbollah e posto finalmente sotto la sovranità del governo di Beirut. Il gesto di Siniora va incontro alle richieste di Israele. Ma per tenere a bada i guerriglieri sciiti e, soprattutto, disarmarli, sono necessari soldati agguerriti e ben equipaggiati, mentre fino ad ora l’esercito libanese si è dimostrato debole e inefficiente. Ecco perché Olmert vuole garanzie precise e comunque non rinuncia a chiedere lo spiegamento di una Forza multinazionale munita di «unità combattenti».
E la Casa Bianca? Anche Washington ritiene «significativa» la proposta di Siniora, ma prematura: «L’esercito libanese non è sufficientemente robusto per potere controllare da solo il confine», spiega il portavoce del Dipartimento di Stato Sean McCormak. Dovrà essere affiancato da un contingente straniero «in grado di neutralizzare le milizie sciite e impedire a Siria e Iran di far filtrare armi». L’America e Israele a braccetto, come sempre.
Ma l’invito «a fare in fretta» rivolto lunedì da Bush all’Onu viene disatteso.

Il Consiglio di sicurezza non voterà oggi e probabilmente nemmeno domani. «Forse venerdì», annuncia il governo britannico, che in serata si mostra ottimista: le trattative per ritoccare la risoluzione sono a buon punto. L’accordo sembra vicino, Russia permettendo.

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