La Libia e i silenzi ipocriti sulla guerra dimenticata

Gli arcobaleni sono scomparsi, il Papa tace. Ma le bombe della Nato cadono sui libici. In un conflitto impari e moralmente inaccettabile. E Gheddafi torna in tv e gioca a scacchi Guarda il video

La Libia e i silenzi ipocriti 
sulla guerra dimenticata

Il secolo esatto che separa le due guerre che l’Italia ha fatto alla Libia, scandisce simbolicamente la sciaguratezza di quella che con­duciamo attualmente. Nel 1911, se­guendo lo spirito del tempo che im­poneva alle cosiddette Potenze di mettere in carniere almeno una co­lonia, ci siamo tolti il capriccio a vi­so aperto. Abbiamo portato morte e devastazione ma, a nostra volta, siamo stati uccisi e mutilati. Ci fu ­pur nella disparità delle armi - un equilibrio del dolore. Oggi, nel 2011, stiamo invece conducendo una guerra impari: noi distruggiamo mentre i li­bici subiscono, impossibili­tati a reagire. Non rischia­mo né un soldato, né un mis­sile sulle nostre città.

C’è in questa asimmetria qualco­sa di così moralmente inac­cettabile da temere che un dio indignato alla fine ci pre­senti il conto. Le anime belle la buttano sull’ideologia per condan­n­are la prima guerra ed esal­tare quella in corso. Sentite­li. Nel 1911 eravamo biechi colonialisti, solitari ed egoi­sti. E oggi, invece? Siamo l’esercito liberatore dal san­guinario Gheddafi. Né sia­mo in Libia di nostra iniziati­va. Agiamo su mandato in­ternazionale, assolvendo una sublime missione di pa­ce: salvare vite. È il trionfo dell’altruismo e del disinte­resse. Una favola che mette le co­scienze a posto, al punto che la guerra sembra dimen­ticata. Gli arcobaleni sono scomparsi. Il Papa tace. I va­ri padri Zanotelli dormono sulla Libia e le sue scomode verità e si svegliano solo per raccontarci bugie sulla pri­vatizzazione dell’acqua. De­stra e sinistra marciano a braccetto contro Gheddafi e in favore dei rivoltosi.

Il Cav sostiene che bombardare non gli piace, tanto più un vecchio amico, ma lo co­stringono - dice - le allean­ze. Aggiunge - per persona­lizzare la sua angoscia - che non ci dorme la notte. Napo­litano, invece, non ha remo­re. Ha calzato il kepì e si mo­stra entusiasta. L’Italia - ri­pete - non può sottrarsi ai suoi doveri umanitari e in­ternazionali. Come se ci fos­se un obbligo superiore a fa­re la guerra (che la Costitu­zione ripudia). Ma dall’alto dell’età, Napolitano parla come se avesse consultato gli antichi testi che regolano i destini del mondo. In real­tà, è lo stesso opportunista di sempre. Oltre mezzo seco­lo fa, nel 1956, approvò con calore l’invasione sovietica in Ungheria, umanitaria an­che quella. Allora il suo ido­lo era l’Urss.

Oggi, con la stessa cecità, affianca l'Occi­dente guidato dagli Usa. Abi­tuato a obbedire, si regola sul capo di turno, senza ra­gionare. Come la giri, l’avventura li­bica è ingiustificata. Ghed­dafi non è il peggiore tiran­no della regione. Da tempo, aveva scelto la legalità inter­nazionale. Se all’Occidente è saltato l’uzzolo di fare fuo­ri i prepotenti, beh, aveva ben altro da scegliere. A due passi da Gheddafi, in Su­dan, tanto per dire, c’è Al Bashir, boia del Darfur: tre­centomila morti, 2,5 milioni di profughi, accusato di ge­nocidio all’Aia. Per tacere del despota siriano, del­­l’Iran, dei tiranni arabici. Ma allora, se il pessimo non è il raìs perché è con lui che ce la prendiamo? Perché rea­gisce a un colpo di Stato? E che altro dovrebbe fare? Ri­cordiamoci che a Tripoli non ci sono state folle iner­mi come al Cairo o Tunisi. Ma un movimento secessio­nista armato con aerei da combattimento, carri arma­ti e missili. Una guerra civile in piena regola. L’Italia e l’Occidente vogliono evita­re una carneficina? Si inter­pongano.

La sola cosa da non fare, è quella che invece è stata fatta: schierarsi con una parte contro l’altra. Af­fiancando, paradossalmen­te, i ribelli che hanno scate­nato le ostilità. Per di più, senza sapere se le loro inten­zioni siano più «democrati­che », «pacifiche», «filocci­dentali » e se il futuro che pro­mettono sia migliore del pas­sato che Gheddafi ha assicu­rato. Nell'ansia interventi­sta, non si è neanche voluto stabilire con chi stia la mag­gioranza del popolo libico. Per cui, mentre bombardia­mo Gheddafi, rischiamo di prendercela col ben accetto per consegnare il Paese a un avventuriero detestato dai più. L’Italia è nella posizione più incresciosa. Il Cav aveva per primo stretto rapporti con Gheddafi, imitato poi da molti (Sarkozy si fece finan­ziare dal raìs la campagna elettorale). La coalizione - in barba al compito di proteg­gere i civili - gli ha invece uc­ciso un figlio, tre nipoti, una nuora e innumerevoli digni­tari rimasti sotto le macerie del palazzo di governo. L’Italia in Libia era il figlio dell’oca bianca. Aveva il pe­trolio, stipulava affari. Quan­do il galletto francese scelse la guerra, seguito da Came­ron che lo aveva aiutato a prepararla armando i ribelli dietro le quinte, e dal vago Obama,l’Italia anziché unir­si, avrebbe dovuto imporre l’altolà.

Questo è il discorso che avremmo amato udire dal Cav: «Signori, la guerra che fate a Gheddafi per il pe­trolio è in realtà un’aggres­sione all’Italia che in Libia ha una posizione privilegia­ta. Annientando il raìs che ci favorisce per sostituirlo con un regime che favorisca voi, è noi che volete scalzare. Non fatelo. Ne va della no­stra amicizia». Altro che unirsi alla combriccola Na­to con la speranza, abbattu­to il tiranno, di spartire il bot­tino. Il quale, per quel che ri­guarda noi, sarà sempre una parte infinitesima di quello che già avevamo. Non è andata così e da quattro mesi siamo invi­schiati in una situazione odiosa. Il Cav ha perso l’oc­casione di differenziarsi da D’Alema che, dodici anni fa, ci infilò in Kosovo in una guerra altrettanto discutibi­le. A sua difesa, va detto che è stato lasciato solo. Non lo ha aiutato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, che ha fatto lo yankee; non l’op­posizione cattolica, da tem­po senza bussola; non quel­la degli ex comunisti, ricicla­ti in zeloti dell’occidentali­smo; non la stampa, specie tv, che non ci ha fatto capire niente, tifando per i ribelli, detti «i ragazzi», contro i le­gittimisti, detti «i miliziani». Due gli insegnamenti del pastrocchio libico. Il primo è generale: il diritto interna­zionale non esiste, conta la forza. L’altro è diretto ai de­spoti che dalla vicenda di Gheddafi saranno indotti a incarognirsi.

Se le disgrazie sono piombate sul raìs per essersi addolcito, consen­tendo alla dissidenza inter­na di alzare la testa, si guar­deranno dal commettere lo stesso sbaglio, moltiplican­do il terrore. Insomma, sia­mo all'opera per peggiorare il mondo.

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