Prendete la parola «come» e ripetetela all'infinito, come un mantra, finché il significato non sarà scivolato via dal significante e si senta solo il rumore vuoto delle lettere. La parola «come» è la più usata in questo romanzo-monologo dello scrittore portoghese Antonio Lobo Antunes. Un libro che somiglia molto ad una lunga poesia, oppure ad un inno alla parola perfetta.
Un reduce dalla guerra in Angola del 1974 rientra a Lisbona e non si accorge di essersi tuffato in un pentolone di disagio e disperazione. Non è più a casa, i ricordi di una vita monarchica e salazarista esiliati dalla realtà concreta di un nuovo mondo opposto al primo ma altrettanto storto e senza uscita. Un'infinità di pensieri e situazioni quotidiane che si mescolano senza mai fondersi come acqua ed olio e che amplificano a dismisura quella segmentazione che ogni tanto ciascuno avverte come una ferita invisibile: un negro che pattina allo zoo, gli intestini dei ribelli in Africa, una prostituta che beve drambuie, il Tago luccicante che accarezza un Paese intimamente afflitto come il Portogallo.
Ma quel che conta, in questo libro scritto dallo psichiatra ed ex medico militare nel 1979 e pubblicato in Italia prima da Einaudi e ora - in economica - da Feltrinelli, è la lingua. Sapiente, lirica, musicale. La luce iridescente dello stile unico di Lobo Antunes colora questi 23 capitoli come le installazioni elettriche dei designer nei musei. Sotto i faretti degli aggettivi più improbabili ed evocativi, brilla una galleria di metafore stupefacenti che accoppiano sapori e memoria, sensi e paesaggi. Stucchevole? Può darsi, perché ogni gusto deciso prima o poi fiacca le papille. Ampolloso e retorico? Mai, nonostante la narrazione contenga i germi di una tendenza al flusso di coscienza che diventerà quasi insondabile nei suoi romanzi successivi.
«In culo al mondo» è così, eccessivo come le orchidee più rare, la cui eleganza è costantemente messa a repentaglio da colori e linee che rischiano la pacchianeria. Un libro di carattere, che infesta con la sua lingua ogni antro del lettore, lasciandolo prono e scosso dalle metafore, vittima innocente del gioco d'azzardo delle parole.
Illusionista
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