I veleni di Santoro, i veleni di Lerner, i veleni di Repubblica e i veleni del Corriere . Alla fine i veleni stanno entrando dappertutto, dentro i nostri cervelli, dentro le nostre vene. Sembra che esista solo il bunga bunga. E così le giornate passano via tra i pettegolezzi di via Olgettina, le rivelazioni della danzatrice del ventre Makdoum, gli sfoghi e le scuse di Nicole Minetti o le confidenze di qualche brasiliana della scuderia di Lele Mora. Scusate, ma tutto ciò mi sta facendo venire il vomito. Per carità: è troppo facile dire che bisognerebbe parlare d’altro, è troppo facile dire che il governo dovrebbe rimettersi al lavoro e che le riforme funzionano più degli sfoghi telefonici in diretta Tv. Troppo facile. Se qualcuno vi tira un cazzotto sui denti, potete forse rispondergli citando Schopenauer? Se qualcuno vi punta una pistola alla tempia, potete forse ripararvi con un preludio di Chopin? C’è un attacco in corso, ci si difende in ogni modo. Epperò, che strazio. E che nausea. Su Repubblica si parla delle cene di Arcore come di una «ragnatela dei ricatti», su Chi si parla delle cene di Arcore come di «serate piacevoli ed eleganti». Alla fine, il risultato, è che in questo momento sembra che non ci sia altro di cui parlare che le cene di Arcore. E così all’improvviso 17 anni di Berlusconi in politica pare vengano cancellati di colpo. I sogni, le speranze, anche le realizzazioni, l’impegno, la fatica, la fiducia di mezzo Paese: è come se tutto fosse all’improvviso spazzato via dalle telefonate di Barbara Faggioli o dai racconti osé della testimone N. E fra tante amarezze, l’amarezza più grande è proprio questa: l’intero mondo berlusconiano sembra destinato a essere archiviato all’interno dei baby doll rossi di qualche profittatrice più o meno ingrata. Non possiamo accettarlo, non può essere così. L’esperienza berlusconiana in politica è stata tanto altro, è stato molto di più. Sono stati anni di entusiasmi e di passioni, di rinnovamento e di identità. È stata la rottura con la vecchia politica, con i riti del passato, è statal’irruzione sulla scena di un sentimento nuovo, di energie che erano sepolte e dimenticate. È stato il sogno che si è incarnato, la rivincita contro i salotti chic, il cambiamento del linguaggio, il superamento delle ideologie che avevano insanguinato il Paese, è stato il trionfo del pragmatismo, della gente che lavora, di quelli che sanno e vogliono fare, che ogni mattina tirano su la cler. Può essere tutto questo raso al suolo da qualche telefonata di Marysthell? Certo: 17 anni di berlusconismo sono stati anche errori, incertezze, mancanze, sono stati alleati che hanno tradito, un po’ Fini e tanti Casini, obiettivi raggiunti solo a metà. Ma sono stati pure risultati importanti. Ieri, tanto per dire, L’espresso , cioè uno dei giornali più violenti nell’attaccare il premier in queste ore, riconosceva pubblicamente il valore della riforma dell’Università del ministro Gelmini. È solo un esempio, che dimostra però che il governo continua a lavorare, alla faccia di chi lo accusa di essere fermo da sei mesi. E, purtroppo, anche alla faccia di chi dice che basta fare le riforme per far dimenticare il bunga bunga. Non è così, lo sappiamo benissimo. Le riforme non bastano, poche o tante che siano. E, per dirla tutta, non conta neppure aprire adesso la partita doppia del dare avere, cose fatte e non fatte, illusioni e delusioni, qui non è in ballo il bilancio ragionieristico dei diversi programmi elettorali. Qui è in ballo l’onorabilità di mezza Italia, quella che si è riconosciuta 17 anni fa nel Cavaliere e continua a riconoscersi in lui, come dimostrano i sondaggi. E che non accetta, non può accettare di essere liquidata fra un tocco di gomito e un sorriso, una battuta su «via Orgettina» e l’ultima rivelazione dell’ex coniglietta di Playboy . Da cronista sono stato in piazza tante volte in mezzo alle folle berlusconiane: ho visto il popolo delle partite Iva, ho visto artigiani e commercianti, ho visto giovani e casalinghe, persone che mai avrebbero manifestato, che mai si erano sentite rappresentate davvero in questo Paese e che si sono riconosciute per la prima volta in un uomo che da 17 anni, nel bene o nel male, comunque la si pensi, ha cambiato il volto della politica. Queste persone continuano a sentirsi berlusconiane. Eppure probabilmente anche loro, come me, come molti di noi qui al Giornale , oggi sono schifate e un po’ nauseate nel dover leggere solo di Ruby e di serate di festa, con o senza palpatine. Per questo sarebbe bello che il 13 febbraio il «Silvio’s people» facesse davvero una manifestazione in piazza: ma non di protesta, piuttosto di orgoglio; non contro i giudici, piuttosto per sé.
Ma sì, più che un anti-Boccassini Day, ci vuole un Berlusconiani Pride, ci vuole una festa di dignità, una rivendicazione di appartenenza, un outing di un popolo che è fiero della sua storia. E che perciò, con tutto il rispetto per certe bellezze, non può accettare di vederla liquidata di colpo dietro uno sculettamento di Makdoum.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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