Lippi: "Il primo che mi chiama avrà il mio sì"

"La mia Italia tutta anima e cuore. E con tanti fuoriclasse, da Buffon a Pirlo. Fuori dalla mischia sono stato bene, ma ora il calcio mi manca"

Lippi: "Il primo che mi chiama avrà il mio sì"

Caro Marcello Lippi, ammetta la verità: lei è stato l’unico che si è goduto questo mondiale fino in fondo. Dopo un anno giusto giusto è stanco?
«Tutto vero, anzi verissimo. E devo dire che è stato molto piacevole per due motivi di fondo: 1) perché non ho ripreso a lavorare, 2) perché continuo a essere considerato non uno di parte, come capitava ai tempi della Juve, magari».
La magia di Berlino è ancora intatta: ha una spiegazione convincente?
«Penso sia quella di sempre: siamo riusciti, tutti insieme, in un’impresa unica, inimmaginabile, che può far sognare ad occhi aperti chiunque, nello sport, nel lavoro, nella vita comune. Per questo mi hanno chiamato le aziende e le università, sono andato in giro per l’Europa e per il mondo a raccontare il nostro successo nato nella testa più che nelle gambe».
Di quel gruppo, nel giro di un anno, solo uno si è arreso: Peruzzi. Che effetto le fa?
«Penso che sarebbe stato ancora utile al calcio e alla Lazio ma ho l’abitudine di rispettare le scelte personali. E considero un grande onore aver lavorato con lui, a Duisburg».
L’onda lunga di Berlino è arrivata fino ad Atene, con il Milan: condivide?
«È stato un anno formidabile. In sei di quel gruppo hanno vinto la Champions league, uno ha festeggiato lo scudetto, Zambrotta e Cannavaro sono arrivati primi alla pari in Spagna, in tre della Roma hanno alzato la coppa Italia. È stato smentito un luogo comune secondo cui, dopo un mondiale, il gruppo resta con le gomme sgonfie per tutta la stagione».
Si è detto della sua Italia mondiale: grande gruppo con pochi campioni. È così?
«Errore, clamoroso errore. In quella squadra c’erano e resistono molti fuoriclasse. Sì, proprio fuoriclasse, come Buffon e Cannavaro, come Gattuso e Pirlo. Non crederete mica che il fuoriclasse sia colui capace di un colpo di tacco inutile, a metà campo...».
Toni è finito all’estero, in Germania...
«Nessuna meraviglia, è il calcio moderno che abbatte le frontiere. Ce ne sono tanti all’estero, il Ct lo seguirà, non cambierà granché». Delle magnifiche sette partite 2006, qual è stata il capolavoro?
«La più bella resta quella con la Germania. Perché abbiamo giocato in casa loro, a Dortmund, perché quel risultato ci ha dato la convinzione necessaria per superare la Francia in finale. Ma la più faticosa è stata la prima, contro il Ghana».
Altra abilità riconosciuta: il caso Totti. Come ha fatto?
«Ho sposato la sua grande voglia, non era al 100%, lo sapevamo tutti e non glielo abbiamo fatto pesare. Anzi, quando si è capito che la squadra aveva bisogno di cambiare disegno tattico, l’ho fatto senza falsi pudori. È stata la sua gestione durante il mondiale, farlo giocare, cambiarlo, farlo riposare, rilanciarlo, il vero capolavoro». Cosa le pare l’attuale dibattito su Totti e Nesta e la Nazionale?
«Nel mio biennio azzurro non c’è stato nessun caso, non giudico il lavoro di altri».
A proposito di Donadoni, ce la farà a raggiungere la qualificazione europea?
«Ha ereditato un gruppo dotato di un’anima e di un cuore. È la vera forza di questa Nazionale che farà ancora bene».
Ha perso le tracce di Guido Rossi?
«L’ho sentito un paio di volte, andai a trovarlo alla Maddalena quando mi propose l’incarico di supervisore, poi basta. Sento tutti gli altri, collaboratori e calciatori, dirigenti».
L’anno scorso Rossi, questa volta Ranieri: ci racconta cosa vi siete detti in quell’incontro sulla barca?
«Ero appena arrivato a Capraia, un marinaio mi ha detto che c’era Ranieri, ci siamo sentiti, mi ha invitato a prendere un caffè da lui, ho accettato al volo. Siamo amici sinceri da tempo, stimo lui e il suo staff. Se vuole sapere, abbiam parlato pochissimo di Juventus».
È rimasto stupito dalla scelta di Buffon?
«Tutt’altro. È in linea perfetta col personaggio. Ho letto le sue parole in proposito, sono dettate dal cuore più che dalla convenienza. Ma anche la decisione di scendere in B con la Juve è stata da uomo vero, quale considero Gigi».
Ha dato un’occhiata al calcio- mercato: chi ha fatto meglio?
«Ho l’abitudine di giudicare il lavoro delle squadre a bocce ferme, mancano ancora due mesi alla fine del mercato. Quel che oggi appare un puzzle incompleto domani diventerà un vero mosaico».
A proposito di incontri, ad Atene ha incrociato Zidane: gli ha chiesto di quella testata?
«No, lo conosco bene per sperare in una risposta diversa da quella che mi sono dato da solo. Invece mi ha confessato una cosa molto carina: mi ha detto che l’Italia aveva meritato di vincere il mondiale quella notte a Berlino».
Caro Lippi, dica la verità: non lemanca adesso il calcio giocato?
«È vero, comincio ad avvertire la mancanza. Ho detto no a una chiamata per motivi familiari, voglio star fuori per qualche mese ma poi basta. Ho già deciso: il primo che mi chiama, mi sottopone un bel progetto e mi convince, avrà il mio sì. Sono pronto a cogliere al volo l’occasione».
Ha detto no alla Juve, lo sappiamo. Ma si dice anche che aveva detto sì al Milan. Può confermarlo?
«Il Milan è una società speciale, ha uno spogliatoio straordinario. Credo anch’io alla teoria di Galliani e cioè che quella società disponga di ammortizzatori tali da resistere a tutti i colpi, anche i più bassi. Solo un ambiente sano e unito poteva passare dalle disavventure in campionato alla cavalcata trionfale di Champions league.

È vero, sono risultati decisivi i recuperi di Nesta e Ambrosini ma poi c’è stata la zampata di Inzaghi, uno dei nostri di Berlino, per mettere le mani sulla coppa».
Scusi, Lippi ma non ha risposto alla domanda: aveva detto sì al Milan?
«Mai ricevuta una proposta dal Milan».

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