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L'Islanda del credit crunch, il merluzzo e la paura dell'Europa

L'isola dei ghiacci dopo la pesante crisi finanziari che ha fatto collassare il suo governo torna alla pesca. Ma il possibile ingresso nell'Unione preoccupa i suoi gelosi pescatori

In principio c'era soltanto la pesca. Poi, nell'isola dei ghiacci, dei geyser e delle saghe vichinghe sono arrivate le banche con i loro mutui. E ora, dopo che l'Islanda ha conquistato il triste primato di primo governo a cadere a causa della crisi finanziaria, c'è di nuovo la pesca, da difendere contro le insidie della sempre più vicina Europa.
Il piccolo Paese, con i suoi 320mila abitanti, era stato definito nel 2007 dalle Nazioni Unite il miglior posto al mondo in cui vivere. Oggi, si trova in una condizione economica difficile: la corona è scesa in un anno dell'85 per cento rispetto all'euro e l'inflazione a febbraio era attorno al17,6 per cento. Proprio a causa di questi numeri, i suoi abitanti tradizionalmente euroscettici guardano adesso con favore a un possibile ingresso nell'Unione europea. Sperano che l'adozione dell'euro come moneta nazionale possa prevenire l'instabilità e futuri drammi, come quello che in autunno ha fatto collassare banche e governo, portando all'elezione, in primavera, di un nuovo esecutivo guidato dalla signora Johanna Sigurdardottir, leader dei social-democratici. La donna ha promesso che porterà Reykijavik in Europa e ha fatto sapere che i colloqui per l'accesso dovrebbero iniziare già a luglio. Secondo i sondaggi, il 60 per cento degli islandesi sarebbe ora favorevole a far parte dell'Unione. A frenare gli entusiasmi ci sono però i gelosi pescatori dell'isola, spaventati dall'ipotesi che per colpa del credit crunch si avverino i loro peggiori incubi: che l'isola ceda alla pedante burocrazia di Bruxelles la gestione del suo mare pescoso e della libertà d'azione e movimento conquistata attraverso «scontri» e «battaglie» tra i pescherecci islandesi e quelli britannici nel corso di due decenni, tra il 1950 e il 1970. La prospettiva di dover dividere con altri le ricche 200 miglia di acque territoriali infastidisce l'industria della pesca locale, provata dalla crisi finanziaria: gli imprenditori avevano infatti investito nelle banche collassate e il merluzzo salato dei mari del Nord, in tempi di recessione, non si vende bene nei Paesi più a Sud. Ma, dopo gli anni rampanti della finanza aggressiva che ha portato luccicanti suv nelle strade della capitale e ha riempito ristoranti e locali notturni di giovani manager, è la pesca - cresciuta del 31,5 per cento nei primi due mesi del 2009 rispetto allo stesso periodo nel 2008 - la vecchia nuova risorsa dell'isola dei ghiacci.

Da difendere a Bruxelles.

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