Chiunque guardi la fotografia qui accanto, tratta dal «Magazine» del Corriere, finisce subito preda di una curiosità. Più che altro, vorremmo tutti quanti vedere anche l’istantanea successiva. Che ne sarà di lui? Riuscirà il tizio a fermarsi in tempo, oppure finirà per spatasciarsi ai piedi dei pilastri, senza neppure il tempo di urlare un patetico help? L’immagine fa parte di un lungo reportage fotografico sull’Italia d’oggi. È datata Napoli. Si legge nella didascalia: «Jogging al quartiere Vomero, su un ponte spezzato che parte dal nulla e non arriva in nessun posto». Come sempre, un buon obiettivo dice più di tante analisi argomentate.
Questa foto rappresenta certo lo svacco architettonico, gli sprechi dementi e le speranze tradite di tante nostre città. Ma rappresenta anche, in modo altamente allegorico, il destino di una nazione. La nostra. Oggi. Mentre a Roma si consultano, come il tizio in tuta noi continuiamo a correre verso chissà dove. La sensazione è esattamente quella, abbastanza inquietante, di percorrere un ponte mozzato, «che non arriva in nessun posto». L’augurio che possiamo fare al tizio ginnico è d’esserne quanto meno consapevole. Noi, purtroppo, lo siamo. Rispetto a lui, però, siamo messi peggio: non possiamo frenare. È durissimo il mestiere d’italiano, in questa interminabile stagione di corsa al buio. Loro si consultano, e da come la raccontano sembra che davvero le consultazioni siano il centro assoluto della vita sociale. L’ombelico del mondo. Misteriosamente, sembrano svanite e dissolte tutte le grandi angosce che da tempo incombevano.
Basta guardare la televisione: soltanto il processo a Rosa&Olindo, con la sua atmosfera da Peynet macellaio, interrompe l’invadenza dei bizantinismi capitolini. C’è ancora qualche rimasuglio di rifiuti campani, ma nonostante la tragedia stia degenerando siamo in chiara dissolvenza. Che cosa dobbiamo pensare? Se la memoria non inganna, la lista delle emergenze era sterminata. Tutte ugualmente tremende. Una dopo l’altra, con martellamento ansiogeno, hanno agitato i nostri sonni e i nostri nonni. Per dire: i flussi migratori dall’Africa e dall’Oriente. Che ne è delle folle oceaniche accalcate ai nostri confini? Sarà la grande questione del nuovo millennio, dicevamo. Bisogna approntare politiche moderne di gestione del fenomeno, dicevamo. E allora? Vogliamo forse dire che non c’è più in giro un cane intenzionato ad entrare clandestinamente in Italia? Poi le polveri sottili. Che ne è delle polveri sottili? Ci sono periodi dell’anno in cui non sembra esistere altro. Inchieste giornalistiche, editti comunali, anatemi scientifici. Un accerchiamento soffocante, almeno quanto le polveri sottili. Ecco: dove sono finite, adesso, tutte queste polveri letali? Vogliamo forse dire che improvvisamente l’Italia respira balsamico?
Poi il caro-pane. E il caroriso. E il caro-frutta. E il caro papà che non ce la fa più con i conti di fine mese. Sembravamo tutti quanti sull’orlo della bancarotta, neanche tanto fraudolenta: dobbiamo forse pensare che improvvisamente i prezzi siano precipitati, o che tutti abbiamo ereditato dallo zio d’America, così da ballarci allegramente, sul caro-vita? Poi i mutui. È allarme insolvenze, benché in forma meno grave rispetto a quella americana: così, un giorno, abbiamo appreso. Con aggiunte per niente rassicuranti: sono sempre di più le famiglie che si indebitano.
La domanda, ora, è la stessa: che ne è dell’emergenza-debiti? Miracolosamente tutti rientrati, in banca? Poi le stragi del sabato sera. Aun certo punto la psicosi collettiva, con la forte tentazione di barricarci in casa dopo le ore diciotto. Dello stesso filone, l’emergenza ubriachi al volante: ce la siamogià scordata, questa piaga moderna? Fino all’altro ieri sembrava il primo dei problemi. Improvvisamente, il silenzio. Vogliamo concludere che nessuno più beve, e che comunque se beve si rifiuta categoricamente di guidare? Poi il bullismo a scuola. Fermate il mondo, il bullismo sta distruggendo il nostro tessuto sociale. Così ci angosciavano i Crepet dai loro punti di osservazione privilegiati. Il ministro Fioroni e i suoi esperti in riunione permanente, i presidi sollecitati al giro di vite, i genitori a organizzare ronde sul marciapiede. Solo per curiosità: che ne è del bullismo? Poi l’emergenza cocaina. Uso sempre più diffuso, a tutte le età, in tutti i ceti. Inchieste sui fiumi cittadini, che con rapide analisi evidenziano residui monumentali della droga chic. Che ne è della cocaina: tagliata anche come problema?
Poi l’emergenza rom. Rom come Romania, ad un certo punto. Zingari e quant’altro, tutti nel calderone del nuovo spettro, questa insicurezza così subdola e così strisciante. Cos’è, emergenza risolta? I rom hanno tutti sbaraccato e noi possiamo tenere aperte le finestre di notte? Fermiamoci qui. E diciamolo senza pudori: no, continua a non essere per niente facile il mestiere d’italiano. Ogni mattina, mentre loro si consultano, noi ci ammassiamo - qualche volta ci ammazziamo - lungo le tangenziali est e ovest, i raccordi anulari, i passanti di Mestre, oppure tentiamo di salire su treni apocalittici - qualche volta restando giù - per raggiungere in tempi biblici, con stress immani, le scuole e i posti di lavoro.
Nulla è risolto, nulla è dissolto. Non sono sparite, come in un simpatico incantesimo, tutte le grane della vita nazionale.
Avviene soltanto questo: mentre loro si consultano, nascondono sbrigativamente le emergenze sotto il tappeto. È un’arte tutta nostra, spazzare la polvere sotto il tappeto. Se solo potessimo fare così anche con i rifiuti di Napoli...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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