Cultura e Spettacoli

Le liturgie dei Papi per incoronare i re

Un saggio dello storico Kantorowicz racconta le «Laudes regiae»

«Proprio in quel santissimo giorno del Natale del Signore il papa pose sul capo del re una corona, mentre durante la messa si stava alzando davanti alla confessio (cioè la tomba) di san Pietro, e così egli fu acclamato da tutto il popolo romano: «Vita e vittoria a Carlo, pacifico imperatore dei romani, incoronato da Dio». E, dopo le laudes, gli fu reso onore dal signore apostolico secondo l’uso degli antichi imperatori e, dopo che ebbe lasciato il nome di patrizio, fu chiamato imperator e augustus». Sono parole degli Annali del regno dei franchi, una delle fonti fondamentali per conoscere quel che accadde nel Natale dell’anno 800, quando il re dei franchi Carlo ricevette da papa Leone III la corona imperiale. Questo passo ci consente di ricostruire le tappe cerimoniali di quell’ora fatale.
L’azione principale sta nelle mani del pontefice, che, con il gesto dell’incoronazione, marca nettamente il proprio ruolo «creatore». È quanto certificano subito dopo le acclamazioni del popolo, che precisano: «Incoronato da Dio». Perché si sarebbe ben potuto discettare sull’esatta interpretazione del ruolo pontificio ma, insomma, la posizione di mediazione - e quindi di decisione - del papa veniva conquistata con nettezza. C’è poi l’onore «secondo l’uso degli antichi imperatori», vale a dire il rito della proskynesis, ovvero il «piegarsi in avanti mandando un bacio». C’erano poi i titoli - re, imperatore e augusto - ma c’erano state anche le Laudes. Ebbene cosa erano, precisamente, queste «lodi regie»?
Le Laudes regiae erano una serie di acclamazioni liturgiche e cerimoniali che miravano a segnare la continuità tra potere regale e regalità di Cristo. Il loro acme era scandito dalla ripetizione del motto «immortale» di Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat, che peraltro si ritrova inciso su una quantità enorme di manufatti d’epoca medievale. Apotropaico e magnificante, il canto delle Lodi venne elaborato nella seconda metà dell’VIII secolo, giusto in tempo per figurare nel Natale dell’800. È quanto mostra un «classico» studio di Ernst Kantorowicz, dal titolo: Laudes regiae. Uno studio sulle acclamazioni liturgiche e sul culto del sovrano nel Medioevo (Medusa, pagg. 330, euro 36), da poco tradotto in Italia, giusto sessanta anni dopo l’originale. Kantorowicz è noto soprattutto per una celebre biografia di Federico II, che non spiacque a Hitler e a Mussolini tanto da far sospettare che lo studioso tedesco fosse filo-nazista. Ma sarebbe erroneo, oltre che ingeneroso: l’ebreo Kantorowicz era certamente un nazionalista tedesco ma va ricordato che, nel 1934, si oppose al giuramento imposto ai docenti universitari preferendo un esilio volontario.
Cos’ebbe, cos’ha dunque da dire ancora oggi questo studio a suo tempo pionieristico? Kantorowicz contribuì a innestare nel grande tronco della storia lo studio della mentalità, come aveva cominciato a fare Marc Bloch in Francia, sempre in relazione ad alcune dimensioni pubbliche della regalità. Perché la grande lezione che proviene da questi studi è che l’uomo non si esaurisce nei suoi dati materiali, ma al contrario si sostanzia sui suoi elementi simbolici e culturali. Del resto, per chi ha assistito, almeno via cavo, all’intronizzazione di Benedetto XVI, non dice ancora qualcosa la ieraticità del canto che accompagnava il suo incedere sul sagrato di S.

Pietro? Quella colonna sonora erano proprio le Laudes regiae che, reinterpretate, immettono pur sempre in una dimensione superiore dell’uomo e del potere.

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