Il loggione severo si divide sul «Trovatore» Fischi a Temirkanov, tripudio per Leo Nucci

Quando ci si accosta a Giuseppe Verdi le cose si fanno difficili. Soprattutto a quel gruppo di capolavori di cui il Trovatore è l’apice. Mai come in quest’opera Verdi dialoga con l’Amore e la Morte, e lo fa con una forza di sentimento che arde dall’inizio al cruento finale, senza calo di tensione. A chi gli rimproverava che la scena era ingombra di cadaveri degni di Shakespeare, Verdi rispondeva che in definitiva la vita è tutta morte. E il maestro Yuri Temirkanov, che ha guidato l'apertura del Verdi Festival a Parma, queste cose le conosce meglio di noi.
D’altra parte Temirkanov ha dovuto tener conto degli strumenti a sua disposizione che, nel caso del Trovatore, vanno dal bisturi al pugnale, e soprattutto di voci adeguate alle esigenze imposte dalla scrittura verdiana. Parliamo dunque delle voci. Dobbiamo purtroppo rilevare che il punto che preoccupa più il tenore è sempre quello che Verdi non ha scritto: il do della «Pira». Senza quello, la mente, e quindi il canto dello splendente Marcelo Álvarez (Manrico) sarebbero stati più sereni, tenendo presente che il leggendario loggione parmigiano è sempre all’erta e spesso scosso da impeti temperamentosi. Liberato dal tarlo di quell’acuto, Alvarez ha potuto mostrare le sue belle qualità nella scena finale, lanciando l’indimenticabile frase «Ha quest’infame l’amor venduto» con la dovuta carica di accorata disperazione. Mariana Tarassova era una zingara Azucena non certo in possesso delle zone basse sulle quali Verdi ha impostato una parte cui teneva tanto (la madre!). Di qui le continue «sottolineature» degli appassionati della zona alta del teatro che hanno indirizzato al mezzo soprano zittii e rimbrotti che avrebbero spento non una ma parecchie pire. Lo stato attuale dell'organizzazione vocale di Norma Fantini (Leonora) non l’ha agevolata nel corso del suo difficile compito (la parte è irta di arie, cabalette ecc.), ma abbiamo apprezzato la potente invocazione del Miserere.
In quest’assortimento i fondamentali primeggiano. Alludiamo ad un miracoloso Leo Nucci (Conte di Luna) apparso come folgore a sostituire un collega indisposto. Giusto il tripudio che il loggione - e non solo - ha tributato al decano dei nostri baritoni. Il ruolo di Ferrando è breve ma non minore e Dejan Vachtov lo ha ammirevolmente sostenuto. Una menzione per il coro istruito da Martino Faggiani. Per concludere, i voti assegnati dal loggione di Parma sono solo in parte condivisibili, perché quelli bassi al maestro Temirkanov non sono né meritati né giustificati, avendo egli governato masse e solisti con eleganza, rara anche alle latitudini parmigiane. E dobbiamo rilevare che le frotte di sibili si sono stancate all’uscita del regista Lorenzo Mariani, non certo encomiabile.

Scene e costumi non indimenticabili di William Orlandi sottolineavano maggiormente gestualità e movimenti qualche volta al limite dell’involontario grottesco. Comunque qui il melodramma è ancora vitale. Siamo sempre a Parma, non dimentichiamolo.

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