Un signore qualunque, anonimo, della classe media, di mezza età. Origini cinesi, capelli corvini, con la riga al centro sbiancata, passaporto canadese. A nessuno verrebbe in mente che lui, Tse Chi Lop, 55 anni, sia il re mondiale del narcotraffico asiatico, capace di fatturare in un anno 18 miliardi di dollari.
A differenza dei narcos messicani, e dell'ex re Mida colombiano Pablo Escobar, giustiziato con un colpo alla testa dalla polizia di Medellin nel 1993, Tse Chi Lop ha un profilo e uno stile di vita insospettabile: nessun tipo di abbigliamento eccentrico, nessun gioiello od orologio prezioso cafone. Uno dei più grandi signori della droga d'Asia, a capo di cinque antichissime Triadi, vive nell'anonimato, lontana da ristoranti e music club esclusivi di Hong Kong o Shangai, come, invece, piace ai narcotrafficanti latini che flirtano con modelle e pranzano, tranquillamente in ristoranti ultra stellati, pagando il conto a tutti i presenti.
Ed è forse questo suo stile, agli antipodi dai narcos, che l'ha salvato più volte dalla cattura, confondendolo tra centinaia di persone in coda per un volo low-cost. Anche se lui, soprannominato «el Chapo chino», preferisce per comodità volare con i suoi due jet privati, parcheggiati a Pechino, di proprietà di una società finanziaria di Antigua. E in viaggio, si regala spesso un quattro stelle, prenotando però tutto il piano dell'hotel per circondarsi con le sue temibili guardie del corpo: una ventina di kickboxer thailandesi che ricordano il film Kill Bill Vol. 2.
Così, mentre El Chapo, sconta innumerevoli ergastoli in un carcere segreto degli Stati Uniti, sull'altro lato dell'Oceano Pacifico, Tse Chi Lop, fornisce cocaina e, soprattutto ecstasy a buon mercato, dalla Cina al Giappone alla Nuova Zelanda. Ma i suoi prodotti toccano anche Amsterdam, Londra e New York. Secondo stime dell'Unodoc, l'agenzia delle Nazioni Unite per la lotta al narcotraffico mondiale, Tse Chi Lop potrebbe sostituire il defunto collega latino Pablo Escobar e anche Joaquim Guzman (el Chapo). Da un'intercettazione telefonica, la Dea americana ha registrato un corriere dei Sinaloa parlare di «contatti interessanti» con gli uomini di Tse Chi Lop. Un indizio che il re asiatico delle metamfetamine a buon mercato vuole allearsi, o forse prendersi tutto il mercato del Sud e Centro America, diventando primo fornitore degli Stati Uniti. Tse ha una gestione dell'Azienda, come è chiamato il suo cartello asiatico, da amministratore delegato: massima attenzione ai costi, niente sprechi, presenza nel settore finanziario, pianificazioni e collaboratori con cultura universitaria. Niente sparatorie e rese dei conti spettacolari, evitare di uccidere agenti della polizia, non come in Messico, dove tutto è una cruenta macelleria di teste e arti mozzati. Soltanto omicidi mirati. Silenziosi.
E poi, alla base dei risultati vincenti, oltre a una gestione disciplinata di soldi e collaboratori, c'è una scelta fondamentale: investire più energie e soldi sulle droghe artificiali, più facili e meno costose da produrre, amatissime dai teenager, a differenza della cocaina, l'ex droga dei ricchi, la cui produzione diminuisce ogni anni grazie soprattutto alle politiche governative di riconversione in terreni agroalimentari delle piantagioni di foglie di coca dei campesinos boliviani e colombiani. Negli ultimi decenni le produzioni di erba, marijuana e hashish, sono ormai monopolio di Thailandia e Cambogia, dove Tse esercita il suo controllo su metamfetamine, eroina e ketamina, spedite a tonnellate in una dozzina di Paesi asiatici e oceanici. E il fentanyl, il potente psicotropo artificiale Made in China, per cui gli Stati Uniti hanno perso la testa. Cento volte più potente di eroina e cocaina, il fentanyl è stato responsabile della morte delle popstar Michael Jackson e Prince. E un'altra sua abilità che lo rende numero uno in Asia, è la capacità di «cucinare» in mezzo alla giungla del Myanmar quantità enormi di cristalli a prezzi ridotti, da rivendere poi in tutta l'Asia con ricarichi fino a tremila volte. Eppure, questo genio dell'autodisciplina, un passo falso l'ha fatto giorni fa, ha ceduto al suo unico vizio, il gioco. Nel Casinò di Macao, in una sola notte, ha perso 66 milioni di dollari. E allora, dalla cortina fumosa che lo avvolgeva, sono apparsi più dettagli. Nato nel Guangdong, Sud della Cina, ha un altro nome, Sam Gor, che significa «Terzo fratello». La sua carriera di narcos cinese inizia a Hong Kong a vent'anni, alleandosi con una triade formata da ex Guardie Rosse. Poi la fuga nel 1988 in Canada dove prende la cittadinanza. L'incastra nel 1998, a New York, la giustizia statunitense. È già un most wanted, fugge dal carcere, poi viene riacciuffato e dopo una esemplare condotta, per motivi di salute del vecchio padre, è scarcerato nel 2006, quando rientra in Canada e scopre le metamfetamine, la loro potenzialità commerciale e ne diventa il monopolista in Asia.
Ora le polizie di mezzo mondo lo cercano. Su di lui una taglia da 25 milioni di dollari australiani, vivo o morto. L'aeronautica militare australiana è allertata dal ministro della Giustizia per intercettare ed, eventualmente, abbattere il suo jet. Sembra lo abbiano visto pochi giorni fa a Bangkok, ma potrebbe essere ovunque. Anche in metropolitana a Tokyo. Si comporta come un agente segreto, a parte l'errore di Macao. E vuole che la sua organizzazione sia tale: nessuno conosce i veri nomi dei collaboratori.
Dicono che parli poco, ma quando lo fa, convince tutti: avrebbe messo d'accordo i narcos asiatici, dalla mafia taiwanese ai biker australiani, promettendo nuove partite gratuite in caso di sequestro della polizia. Un vero gentleman.
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