Di Luca: ritorno a pedalare e non ho nulla da nascondere

«Il doping? Non c’entro. Mi hanno tolto gioia e soldi, mi riprenderò tutto con gli interessi: la maglia iridata»

Libero. Da mercoledì Danilo Di Luca è libero di tornare a pensare solo al ciclismo, libero di tornare ad essere a tutti gli effetti un corridore professionista dopo aver scontato tre mesi di squalifica per aver frequentato un medico implicato in vicende di doping. Libero anche di pensare che è stata un’ingiustizia e che forse non è finita qui. Libero di pensare, ad alta voce. «Sono passato dal trionfo del Giro al buio dell’angoscia – dice da Palma di Majorca, dove si sta allenando -. Ho pensato di chiudere con il ciclismo, ma soprattutto ho sperato che fosse tutto uno scherzo. Mi dicevo: “Sarò finito su scherzi a parte”. Invece era tutto vero».
Lei dice: «certe cose ti restano sulla pelle...». Ma dice anche che vuole assolutamente voltare pagina.
«Quello che mi è successo ha dell’incredibile: il momento più alto della mia carriera è coinciso con quello più basso. È stato un po’ come vincere alla roulette, e vedersi sfilare da sotto il naso la vincita. Solo che al sottoscritto non hanno rubato i soldi ma la gioia di averli vinti. Sì, a ben pensare ho perso anche un sacco di quattrini, ma alla fine grazie a Bordonali (il nuovo team manager che l’ha voluto alla Lpr, ndr) sono riuscito a limitare i danni...».
Prima del Giro un contratto da un milione di euro, premi esclusi. Dopo la corsa rosa uno nuovo di zecca, da 2 milioni e mezzo di euro, frutto dei suoi successi. In mezzo l’inchiesta «Oil for drug» che le è poi costata 3 mesi di squalifica. L’ultima parola sulle sue frequentazioni con il dottor Santuccione?
«Per me quella è una questione chiusa, anche se c’è sempre la vicenda della “pipì degli angeli”, quelle urine che per i periti del Coni sono troppo pulite per essere vere. Loro sostengono che io allo Zoncolan (tappa principe dell’ultimo Giro, dove il Coni ha sottoposto Di Luca ad un esame a sorpresa, ndr) ho fatto ricorso ad una flebo. Io e i miei periti dimostreremo il contrario. Ad ogni modo è bene precisare una cosa: le flebo, su discrezione del medico, fino all’anno scorso erano consentite. Da quest’anno no. Ad ogni modo io voglio solo e soltanto a pensare ai nuovi traguardi che mi attendono».
Quali, per esempio?
«Quelli di sempre: Liegi, Giro d’Italia e mondiale di Varese su tutto».
E l’Olimpiade di Pechino non la intriga?
«Preferisco inseguire il bis al Giro e poi prepararmi per dare l’assalto alla maglia iridata».
Sempre che Bettini sia d’accordo...
«Se arriverò a Varese con la condizione giusta, sarà il primo a volermi al suo fianco».
Quest’anno al suo fianco avrà invece Paolo Savoldelli, uno che di Giri d’Italia ne già ha vinti due...
«Meglio averlo compagno di squadra che avversario».
L’avversario che teme di più?
«Gibo Simoni. Lui è un osso duro. Sarà certamente lì a dare battaglia e cercherà di sfruttare la rivalità interna che lui spera possa nascere tra me e Paolo, come avvenne al Giro del 2004 tra lui e Cunego. Solo che né io né Paolo siamo Simoni».
A proposito di Cunego: lui non vi fa paura?
«Se correrà il Giro, sicuramente dovremo fare i conti anche con Damiano. Poi ci saranno Riccò, Nibali, ma soprattutto Denis Menchov, il russo vincitore del Giro di Spagna che punta anche al Tour».
Quando l’esordio stagionale con la maglia della Lpr?
«L’11 febbraio, al Giro di Calabria».


Dispiaciuto di aver lasciato uno squadrone come la Liquigas?
«Felice di essere alla Lpr. Certo, la Liquigas era una famiglia: tre anni di grandi risultati non si cancellano tanto facilmente. Ma penso che anche loro siano dispiaciuti di aver perso uno come me...».

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