Di Luca vede rosa «Nove chilometri tra me e il Giro»

«Deciderà lo Zoncolan: se sto bene, attacco. Il Tour? Non mi fa impazzire. Piaccio alle donne? Con questa maglia...»

Di Luca vede rosa «Nove chilometri tra me e il Giro»

nostro inviato ad Agordo

Caro Di Luca, quanto manca da qui a Milano?
«Nove chilometri. Una salita. Si chiama Zoncolan, l’affrontiamo domani, ha pendenze terribili».
Significa che li suonerà di nuovo?
«Se sarò lo stesso delle Tre Cime di Lavaredo, non mi farò attaccare: attaccherò io. Dietro ho gente più forte a cronometro, non posso tenermela così vicina fino alla sfida di Verona».
Finora è sembrato passeggiare. Sulle rovine degli avversari.
«Ho sofferto davvero solo un quarto d’ora. Nella tappa di Bergamo, quando Savoldelli e Simoni hanno attaccato in discesa, giù dal San Marco. Mi sono molto arrabbiato. Poi, però, mi sono rimesso tranquillo e ho gestito bene la situazione».
Ha ancora paura di qualcuno?
«In montagna, solo di Simoni. Riccò? L’altro giorno, sulle Tre Cime, lui correva un altro Giro. Come sempre, qui ci sono due gare in una: quella tra gli uomini di classifica, e quelli che cercano la vittoria di tappa. Riccò è rimasto in fuga perché non conta più in classifica».
Lei è il campione di mezza età: lontano dai matusa Simoni e Savoldelli, lontano dai ragazzi come Cunego e Riccò. Si sente finalmente realizzato?
«Sì. Sono arrivato qui attraverso tanti errori di gioventù. Spesso, per eccesso di generosità, mi sono sbattuto via. Attacchi inutili, sprechi di energie. Ora ho acquisito l’equilibrio giusto. Si attacca quando è il momento, una volta sola, in modo letale. Come all’ultima Liegi-Bastogne-Liegi».
A proposito: dopo tanti anni di specializzazione esasperata, da una parte i corridori per classiche, dall’altra quelli per grandi Giri, lei rispolvera la figura del campione universale.
«Io mi sono sempre ritenuto un corridore completo. Sin da ragazzino, vincevo in salita e vincevo le volate. Forse mi manca solo la cronometro, ma nessuno è perfetto».
C’è qualcuno a cui deve dire grazie, adesso?
«Forse ad un amico di mio padre, Mario De Nicola. Quando avevo otto anni, mi ha messo in bici. Gli devo molto perché, nonostante vincessi magari 18 gare su 20, non mi ha mai esaltato. Ha sempre pereferito farmi notare gli errori. E mi trattava esattamente come i miei compagni, che magari non vincevano mai. Così è un maestro».
Non ha voglia di Tour?
«Lo confesso: non ne avverto il fascino. Non mi fa impazzire. Come percorso, come ambiente. Però so anche che è la corsa più importante al mondo. Ci tornerò, ma solo tra due anni. Nel 2008 sarò ancora qui, al Giro, la corsa che amo di più».
Che altro, nel libro dei sogni?
«Il Mondiale. Ma quello di quest’anno è un po’ facile. Quelli che fanno per me sono nel 2008 a Varese e nel 2009 a Mendrisio».
Olimpiadi di Pechino?
«Ci terrei. Il percorso è selettivo, si può fare».
Nell’attesa, si concederà un regalo per questo Giro?
«Me lo sono già fatto da tempo: un’Audi R8. Il Giro, al massimo, mi porterà un nuovo contratto».
Sulle Tre Cime di Lavaredo, oltre cinque milioni di telespettatori, picco d’audience al 36 per cento: si sente il salvatore della baracca?
«Siamo partiti in un clima terribile. Adesso, vedo che si riparla della corsa. Di questo, sono fiero».
Può giurare che sia un Giro pulito?
«Ragazzi, il ciclismo negli ultimi tempi è cambiato molto. È più umano. Lo vedete dalla fatica sulle facce, dalle crisi, dai distacchi contenuti. Però attenzione: non è un merito se uno non si dopa. In fondo, dovrebbe essere la normalità».
Avversari, i suoi verdetti. Cominciamo da Cunego.
«Fa fatica, ma vedo che tiene duro: segno di carattere. È ancora molto giovane. Credo vincerà molti Giri. E secondo me può vincere pure il Tour».
Il lussemburghese Schleck.
«Mi dicevano: è più forte del fratello. E io dicevo: che è, sta arrivando Merckx? Devo ammetterlo: è più forte del fratello...».
Riccò.
«Non vincerà il prossimo Giro. Anch’io alla sua età pensavo di vincerlo subito. Ma serve tempo. Esperienza. Maturità. Vincerà, ma più avanti».
Il suo giovane di riferimento?
«Thomas Dekker, olandese. Fortissimo a cronometro, bravo in salita: è l’uomo del Tour».
Un consiglio, a questi giovani?
«Imparare dagli errori».


Dicono le riviste pettegole che lei piaccia tanto alle donne.
«Sono sposato, lasciamo stare. Però ho l’impressione che tutti mi guardino non tanto per la faccia, ma per la maglia rosa. È una magia: ti additano incantati anche se sei un mostro, quando sei vestito così».

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