L'ultima di Tettamanzi: l'omelia ad personam 

L’ultima uscita politica dell’arcivescovo dimissionario di Milano: anche se non lo cita direttamente, nella sua predica prende di mira il premier e chi "non vuole che la giustizia giudichi le sue azioni"

L'ultima di Tettamanzi: 
l'omelia ad personam 

Benedice il ramoscello d’ulivo. Ma l’omelia delle Palme del cardinale Dioni­gi Tettamanzi diventa in qualche modo una predica ad personam . Il Cavaliere parla in piazza San Babila, l’arcivescovo di Milano pare rivolgersi a lui in tempo reale dal pulpito del Duomo. Vicinissi­mo in linea d’aria. Il cardinale si soffer­ma «sui giorni strani che viviamo, giorni che i più dotti definirebbero paradossali». Che cosa vuol dire Tettamanzi? L’arcivescovo non resta sul vago. Tocca terra. E anzi, sembra indirizzare un messaggio all’inquilino di Palazzo Chigi: ecco quelli che «agiscono con ingiustizia, ma non vogliono che la giustizia giudichi le loro azioni. Perché lo fanno?», si chiede a bruciapelo Sua Eminenza.

Tettamanzi non cita nessuno apertamente, non distribuisce patenti di idoneità, non si attarda a raccontare di questo o quel personaggio. Però i settemila fedeli radunati sotto le volte del Duomo pensano che quella frecciata sia destinata ad Arcore. È così, non è così. Tettamanzi va avanti e presenta Gesù come un «re umile e mite, e insieme come il re che dona tutto se stesso per amore e che, proprio così, annuncia la pace ». Un richiamo doveroso che prosegue sotto forma di domanda: dobbiamo interrogarci «con coraggio sul criterio che ispira nel nostro vissuto quotidiano i nostri pensieri, i gesti, i sentimenti. È un criterio caratterizzato da dominio superbo, subdolo, violento oppure è un criterio contraddistinto da attenzione, disponibilità e servizio agli altri e al loro bene?». Quello di Tettamanzi è, secondo l’agenzia Ansa , un richiamo alla classe politica che a Milano deve superare la porta stretta delle elezioni amministrative.

Non è la prima volta che l’arcivescovo sferza chi amministra la città e il Paese. A novembre, per esempio, aveva attaccato l’Italia di oggi: «È malata come lo era Milano ai tempi di san Carlo e della peste. L’immoralità è dilagante aveva aggiunto - a tutti i livelli della società». E a gennaio, in occasione della festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, aveva fatto un riferimento che tutti avevano legato al Rubygate: da coloro che guidano il Paese «tutti attendono esemplarità, nel pubblico e nel privato». Ora, per le Palme, l’arcivescovo tuona contro quelli che non accettano la giustizia. Poi vira verso l’Europa, nuovamente con accenti critici: «Perché tanti - afferma il cardinale - vivono arricchendosi sulle spalle dei Paesi più poveri, ma poi si rifiutano di accogliere coloro che fuggono dalla miseria e vengono da noi chiedendo di condividere un benessere costruito proprio sulla loro povertà?».

Il riferimento all’Europa e ai respingimenti dei clandestini è trasparente. O quasi. Certo, l’arcivescovo legge la realtà con gli occhiali tridimensionali della carità e inevitabilmente le sue parole, come quelle di ogni pastore, stridono con quelle dei potenti e con i ragionamenti che le ispirano. Ma qualche volta l’arcivescovo si è spinto in là, arrivando a polemizzare direttamente con il sindaco Letizia Moratti. «Perché - ha detto giusto un anno fa Tettamanzi - la sicurezza viene sempre accostata solo alla legalità? Non c’è una sicurezza che può essere legata anche all’accoglienza? ». «La politica che stiamo portando avanti a Milano - è la risposta del primo cittadino - tiene sempre insieme la legalità e la sicurezza con l’accoglienza e il sostegno alla fragilità ». Schermaglie fra il sindaco che a breve correrà per il secondo mandato e l’arcivescovo a fine mandato che nelle prossime settimane dovrebbe essere sostituito alla guida di una delle più importanti diocesi del mondo.

Insomma, ciascuno ha il suo stile, il suo temperamento, le sue convinzioni, ma a volte l’arcivescovo sembra perdere la sintonia con gli umori profondi dei cattolici che si riconoscono nei colori del centrodestra. C’è chi avrebbe gradito maggior sobrietà davanti alla tragedia terribile di Vittorio Arrigoni, barbaramente ucciso a Gaza dagli estremisti salafiti.

«Il suo sacrificio sia d’esempio per vincere ogni egoismo», ha spiegato il cardinale a proposito del giovane che amava i palestinesi e odiava Israele. Ma Tettamanzi questa volta ha parlato con la commozione nel cuore.

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