L'ultimo dei vetrinisti racconta i segreti per attirare i clienti

L'ultimo dei vetrinisti racconta i segreti  per attirare i clienti

Le lancette erano sulle 23 quando durante la «Milano fashion week» Bruno Bambana entrava nelle vetrina di Hermès, ancora in via Sant'Andrea, e chiedeva alla sorella Franca: «Per favore passami il foulard con le staffe». L'ultimo dei vetrinisti. Gli artisti come Bambana, capaci di trasformare una vetrina in una scena teatrale che sboccia nell'attimo del suo compimento, si contano sulle punta delle dita. «Ho avuto la fortuna di formarmi alla Rinascente tra l'inizio degli anni '70 e gli '80 - racconta -. Fu una palestra di stile e di mestiere sotto la guida di un maestro come Giorgio Pulici. Da bimbo volevo fare il vetrinista, perché solo quando sono in questa dimensione di trasparenza sento che gli oggetti prendono vita». Dopo la Rinascente sono arrivate griffes quali Gucci o Vuitton. Nel 1987 è chiamato da Hermès, mai più abbandonato. «Iniziai facendo da assistente a Leila Menciari - ricorda, senza mai dimenticare quella che fu il suo primo lavoro che non racconta per intimo romanticismo -. Leila è francese d'origine tunisina. La celebre vetrina d'angolo a Parigi è di sua creazione».
Free lance, Bambana gira il mondo e ha un ufficetto a Milano. Per lui la città non s'adagia sulle mura ma sui vetri, dove le persone si specchiano anche per l'ultimo ritocco. Una vetrina dopo l'altra, il suo occhio scruta quel mondo di cose su cose per lui immateriali, perché è un mondo d'arte. «La classe dell'artigianato e l'abilità della confezione sono italiani, basta guardare come vestono le nostre donne. Camminando per Parigi non si vedono signore chic come qui. E' un peccato aver abbandonato la manualità vetrinistica. Oggi gli imperi del lusso s'affidano agli studi d'architettura che costruiscono una vetrina uguale a Milano, a New York, a Singapore. Si punta sulle nuove tecnologie: i led che scolpiscono, gli arredi sui quali non è più importante come appoggiare un maglione, posare una mantella. Il vetrinista vive di questo: entra nella sua stanza magica e solo allora fa frusciare uno scialle». La farfalla esce dal bozzolo solo sul gelso e la natura insegna.
E' costoso rifare questo «oggetto» del desiderio? «Molto. Una vetrina andrebbe cambiata ogni quindici giorni, ma oggi mancano i mezzi. La Milano degli anni '80 era un fermento di voglie e d'espressioni». Ci sanno fare i milanesi? «Sì, perché hanno il piacere dell'oggetto e si vede dal modo in cui lo espongono anche nei negozi più piccoli». Dove si può vedere una bella opera? «Moschino è il libero pensiero totale, una delle ultime espressioni vetrinistiche pure rimaste». Le donne passano da via Montenapoleone; ad ogni passo si fermano, si stupiscono. Che fascino! La loro ombra curiosa si riflette sui vetri. «E' la strada più bella di Milano ed è giusto che i grandi marchi siano lì; mi dispiace che alcuni non siano più italiani».
Bruno Bambana vedrà via Montenapo la notte, tra le quinte del numero 12, il nuovo Hermès. La sua più bella creazione? «Quella che farò domani, quando vivrà il dettaglio che ho in mente ora, magari osservando lei.

Vorrei invitare i giovani a fare questo mestiere. Si è vetrinisti nel sangue, come si è scultori o giornalisti, vero?». Sì. Si è prima uomini e donne con le avventure nei sogni, un lusso che i tecnici non capiranno mai.

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