Per dire. Una delle primissime vignette ironizza sul problema dei parcheggi in città. Era il 1925... E una delle ultime illustra l’incomunicabilità generazionale tra madre e figlio: «Cos’hai imparato a scuola oggi su cui non sarò d’accordo?».
Si dice che le vignette del New Yorker valgano da sole il prezzo della rivista. Immaginate quanto possa valere un libro che le contenga tutte. Vale - disegno più, disegno meno - un secolo o quasi di storia americana: storia del costume, storia della cultura, storia dei rapporti di coppia, storia della civiltà capitalista, storia con la “S” maiuscola. Se il New Yorker ha scritto una pagina dello stile di vita americano, le sue vignette ne hanno tracciato la cornice. Ironica, sofisticata, brillante.
Brillante, sofisticato, ironico, The New Yorker fu fondato nel 1925, con un’elegante sede sulla 45ª strada di Manhattan, da Harold Ross, già direttore della testata delle Forze Armate Stars and Stripes e da sua moglie Jane Grant, reporter del New York Times. Oggi è uno dei più importanti settimanali americani, e il più citato dagli intellettuali, non solo newyorchesi. In 85 anni di copertine entrate nell’immaginario giornalistico mondiale, 85 anni di reportage, commenti politici, arte, racconti (di J.D. Salinger, John Cheever, Nabokov, Updike, Philip Roth fino a Jonathan Franzen), e poi saggi, satira e persino poesia, la rivista che ha fatto del suo logo un dandy col monocolo, per affermare il proprio tono chic, ha ospitato in tutto oltre 70mila vignette. Come diceva il suo fondatore, il New Yorker è il miglior giornale per chi non sa leggere.
Letto in realtà dai lettori migliori del mondo e diventata nel tempo la Bibbia dell’intellighenzia americana e dello snobismo radical-chic, The New Yorker ha fatto della vignetta umoristica e dell’ormai leggendario sophisticated humour il proprio tratto distintivo. Un marchio di fabbrica. Amate, collezionate, citate, le vignette del New Yorker, rigorosamente in bianco e nero, minimaliste, spesso surreali, sono state firmate dai più grandi disegnatori del ’900: Peter Arno, Roz Chast, Saul Steinberg, William Steig, Richard Taylor, Barney Tobey (ma dagli anni Cinquanta anche Charles Addams, le cui tavole nel 1964 furono trasposte in telefilm, dando così inizio alla celebre serie La famiglia Addams).
Leggere, ricercate, impertinenti ma non volgari, né aggressive, le vignette del New Yorker raccontano la cultura popolare americana, con un’attenzione esasperata per i dettagli: quelli sociali, e quelli grafici. Le vignette scelte - ogni settimana una cinquantina circa di disegnatori prepara una decina di bozzetti a testa, tra i quali il direttore della sezione Cartoons sceglie le tavole da pubblicare, una quindicina a numero - sono, in questo senso, perfette. Lo dimostra il gigantesco volume che ora le raccoglie: The New Yorker. Tutte le vignette umoristiche (Rizzoli), con un dvd-rom che contiene l’intero corpus dei disegni, 70mila in tutto. Scorrendole, ordinate per decenni e per autore, si colgono tutti i cambiamenti dell’America, e la sua immutabilità: la presenza tentacolare della città-grattacielo, i suoi punti di riferimento (taxi, uffici, ristoranti), i simboli dell’high class newkorkese, e per estensione statunitense (il Martini, il golf, le auto di grossa cilindrata), i tic e le ossessioni dell’American lifestyle (il sesso, la psicanalisi, gli avvocati, i colletti bianchi, le corporation, il consumismo, i piccoli drammi di coppia, le grandi angosce della guerra).
I giornali raccontano il mondo, e il modo, in cui viviamo. Il New Yorker, lo disegna. Ogni settimana.
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