È lì, in quel momento, quando il corpo non respira più, il sangue calpesta la faccia, che un dittatore, o un qualsiasi nemico, appare per quello che in fondo era: soltanto un uomo. È per questo che quelle grida, la festa, il ballo sulla carcassa di Gheddafi ti lasciano una sensazione di miseria umana. Non è pena e neppure pietà. È inutilità.Alla fine non c’è più alcuna differenza tra vittima e carnefice. Non ci sono più scuse tra chi uccide in nome delle libertà e quell’altro, a terra, spogliato di tutto, che fino alla fine ha cercato di non arrendersi al destino, a qualcosa che presto chiameremo Storia. Non sai più chi sono i martiri e chi gli assassini.
Queste morti non portano mai bene. Non hanno mai neppure il sapore lucido della vendetta. Sono un carnevale senza allegria. Sono la macchia che ti sporca il futuro, quasi a restituire poesia ai vinti e miseria ai vincitori. Sono come i corpi sfatti che penzolano da una pompa di benzina. Qualcosa che ti resta dentro come una maledizione, un maleficio di eterna, strisciante, guerra civile. Qualcosa che ti tormenta anche se cerchi di mettere sul passato una pietra sopra, come a non voler mai chiudere del tutto i conti. Lo sapeva Cesare che quando vide la testa mozza di Pompeo, trucidato a tradimento dagli uomini dell’eunuco Potino, si girò ripugnato e urlò agli egiziani: «Maledetti assassini». L’eunuco fu giustiziato.
Mohammed al-Bibi dicono che abbia vent’anni ed è l’altra faccia del Colonnello. È il ragazzo con la pistola d’oro e in questo momento si sta godendo il suo frammento di celebrità: come un eroe, come una vendetta, come un giustiziere. Non si sa se sia stato davvero lui. Dice che lo ha scovato nascosto in una buca, a Sirte, e gli ha sparato guardandolo negli occhi, mentre lo supplicava: non sparare. Le ultime immagini mostrano invece un uomo in ginocchio, con una pistola puntata alla tempia, trascinato per i capelli, con il sangue che gli copre mezzo viso e lui cerca con la mano ancora sana di pulirsi. Ci sono fucili che suonano e foto ricordo per dire «io c’ero». Un istante dopo il Raìs è solo un uomo morto. Il potere è passato di mano e anche la violenza.
Ora è il ragazzo con la pistola d’oro,quella che Gheddafi portava con sé, ad assomigliare al Raìs. È lui con la felpa blu, il cuore in mezzo al centro, il cappellino da baseball e la posa da gringo che mostra nello sguardo la stessa arroganza, da invincibile, del giovane Gheddafi, quello della rivoluzione, quello che fece piazza pulita di ebrei, italiani e dissidenti. Altri uomini se lo issano sulle spalle e lui, il nuovo eroe, alza la pistola al cielo, per farla brillare più vicina al sole. È in quel momento, mentre il dittatore è un corpo freddo, che Mohammed al-Bibi appare per quello che dice di essere.L’eroe ha lo sguardo dell’assassino. E l’altro, il cadavere, è una vittima. Il Colonnello non è stato ucciso per sbaglio, per caso, in uno scontro a fuoco, quando le pallottole non hanno indirizzo e neppure padrone. Quello che è morto non è neppure più un re, un potente, una divisa. È un vecchio, implorante, sconvolto, trascinato via come un sacco sporco. E l’ultimo sparo è un omicidio. Nessuno però condannerà il ragazzo con la pistola d’oro. Non solo perché non si sa neppure bene se sia lui l’assassino. Mohammed sconterà la fama riflessa e l’insignificanza del suo delitto. La salvezza mentale dei boia di Stato è il cappuccio nero, l’anonimato.
I boia improvvisati subiscono la vendetta del successo. Passeranno la vita a fare i conti con l’uomo che hanno ucciso. La Libia si è liberata di Gheddafi, Mohammed forse non ci riuscirà mai. Quello a cui ha partecipato è un gioco antico. È l’emozione di poter dire: «Sono stato io. Ho ucciso il grande uomo». È lo specchio meschino della gloria riflessa. È il giovane senza gloria che si nutre della morte di un famoso pistolero. Mohammed diventa Maramaldo o John «naso rotto» McCall, il ragazzo che uccise a un tavolo da poker Wild Bill.
Narrano che James Butler Hickok, questo il suo vero nome, avesse in mano prima di crepare una coppia di otto e una di assi, di fiori e picche.
Da allora questa combinazione di carte la chiamano la «mano del morto». Ecco il ragazzo con la pistola d’oro ha vinto questa mano, la mano del morto, e dell’assassino. Brinderà al suo gruzzolo di fortuna, per quella fama inutile di aver assassinato qualcuno più famoso di te.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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