Lutero, tesi e antitesi

Nella biografia di Lucien Febvre l’uomo che cambiò il corso alla storia della Chiesa

I grandi della storia compiono gesti salienti, nodali. Crinali, spaccature, tra un prima e un dopo. Alessandro che sbroglia a fil di spada il nodo di Gordio. Cesare che al guado del Rubicone scaglia, idealmente, il dado, alea iacta est. Plutarco, padre nobile della biografia, non ha dubbi: la descrizione, l’interpretazione di un atto del genere valgono più del resoconto di una battaglia in cui caddero migliaia di soldati, perché la missione didattica dell’analista è di svelare l’ethos, il carattere singolare dell’uomo. E questo si esprime talvolta nell’episodio, nell’aneddoto sublime. Parliamo dei protagonisti, ovviamente, degli eroi, di coloro i cui nomi fanno da titolo ai libri, in copertina.
Tale è il fondatore della Riforma protestante, un pilastro del Rinascimento continentale, al quale Lucien Febvre consacra il suo ormai classico Martin Lutero, un saggio agile e denso, indispensabile per un orientamento ben bilanciato sul personaggio enorme. L’atto centrale dell’ardente monaco agostiniano (Eisleben 1483-1546) fu l’affissione delle 95 tesi alla porta laterale della Schlosskirke di Wittemberg, in Sassonia, sede del magistero accademico del dottor Lutero, maestro in teologia, e dominio dell’elettore imperiale Federico il Saggio. Anche se qualche storico di eccessivo scrupolo agita dubbi di veridicità, il fatto clamoroso è certificato da luogo e data, il 31 di ottobre del 1517, l’uno e l’altra fatalmente incastonati in un disegno strategico.
Era la vigilia di Ognissanti, solennità nella quale il buon Federico aveva statuito che i penitenti, previa confessione, lucrassero la plenaria della Porziuncola, l’indulgentia ab omni culpa et poena: sborsando offerte, il pellegrino si liberava del gravame del peccato. Il castellano garantiva la completa riuscita della transazione: nel cerchio sacro della sua cappella si ammassavano le potenti prove della sua passione di collezionista di reliquie, acquistate a caro prezzo, pagliuzze della stalla di Betlemme, frange dei pannolini del divino infante, frammenti di chiodi e fruste della Passione, gocce di latte della Madre. Traffico pio di cabotaggio minimo, nel gioco planetario delle indulgenze: proprio quello che era andato di traverso a Lutero, e l’aveva spinto a prendere furiosamente carta e penna, per vergare le 1677 parole, in latino curiale, delle 95 brucianti stilettate (un paio di righe per ciascuna) contro il pacco papista, la trupha, di svendere a peso ciò che nessun essere umano al mondo (e meno che meno il patron di Roma) poteva pretendere di possedere, dopo le malefatte originali di Adamo: il riscatto a buon mercato dalla perdizione abietta, lo sfacelo della carne e dell’anima peccaminose, annodate in quell’albero fradicio che nella visione depressa e pessimista di Lutero era la creatura mortale, inabile alla riscossa, autorizzata, al massimo, alla fede, alla speranza della grazia, sconfinata misericordia di Dio che, sola, poteva risollevarla in più spirabile aere, alla salvezza.
I tempi per la protesta erano più che maturi. Lutero, reduce da un viaggio a Roma (macché Roma, l’incestuosa Babilonia degli scandali color porpora e delle orge!), ben sapeva che la Germania si preparava all’ennesima empia spremitura, a vantaggio della cricca cattolica. Con il suo osceno ritornello («tintinna il soldin nella cassetta/ vola in cielo l’animetta!»), il sottocommissario generale di Magonza, il domenicano Jean Tetzel, percorreva le diocesi, promettendo il Paradiso a contadini abbrutiti, a borghesi incarogniti nella caccia al profitto individuale, a principi, come Alberto di Hohenzollern, che non esitavano a impugnare, oltre allo scettro, due o tre pastorali da vescovo per volta. Il tutto per gola di potere e di denaro. Professionisti della finanza disciplinavano il fiume d’oro. Ecco Jacob Fugger, pescecane della banca, favorire con favolosi anticipi e investimenti la redditizia «Spa» a tre (principe, imperatore, papa), il cui unico ente pagatore era il popolo credulone.
Intorno allo scandalo delle indulgenze ruota il tempestoso universo spirituale di Lutero, descritto in questo libro che è una completa biografia d’anima, splendidamente immune dalla tentazione del giudizio, di adesione o di condanna, nei confronti di un uomo il cui carattere, pure, si condensa nel più imperioso e drammatico dei dilemmi: «o con me, o contro di me!». Febvre impiega il filtro più congeniale: immerge Lutero nella storia, nell’amalgama corrusco di una Germania politicamente divisa, socialmente lacerata, che nella protesta luterana trova un toccasana d’unitarietà.

E il monaco Martin giganteggia, non due, ma mille anime, simile a Faust, signore della teologia e popolano ribelle, peccatore per disperata ripicca, troviero della religione, riformatore per slancio disordinato ma, soprattutto, profeta di arcaici bagliori.

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