Una Madonna-bambina nello «Zoo di vetro» dipinto da opera rock

A Roma nella rilettura di Tennessee Williams l’attrice si conferma artista multimediale e al passo con i tempi

Enrico Groppali

da Roma

Nemmeno alla Scala negli anni d’oro di Maria Callas si era mai visto un pubblico da gran soirée come quello che ha affollato l’Eliseo alla prima di Claudia Cardinale. Dai politici fino ai teatranti di chiara fama (Umberto Orsini, Lavia e la Melato) accorsi in smoking gli uomini e in argenteo le signore per non mancare all’evento clou della stagione. Dove si fosse dato convegno quel Bel Mondo umbertino che il secolo scorso, ai tempi del Piacere, il divino D’Annunzio stigmatizzò quando era il più accreditato cronista mondano della capitale. La sorpresa ha raggiunto il culmine quando, all’alzarsi del sipario, al posto dell’infernetto borghese previsto da Tennessee Williams, ci si è trovati immersi in un macroscopico acquario. Infatti, per merito (o per colpa) del regista Andrea Liberovici, audace sperimentatore di inedite forme espressive, il patetico salottino di Amanda, la madre-ape regina compiaciuta del proprio passato di gentildonna del Sud che sogna un impossibile riscatto immaginandosi tra ampie vallate e piantagioni immote sotto il sole è diventato una lattea trasparenza di luce soffusa. Dove, prima ancora di scorgere Claudia Cardinale, udiamo la sua voce più roca e suadente di quella di Marlene echeggiare tra le quinte ingigantita dal microfono mentre sul velario che racchiude la bolla d’aria della scena si stampa in splendidi primi piani il suo volto da Divina del cinema.
È la voce registrata dell’attrice, dissolto a priori il personaggio pubblico nella successione fantasmagorica del suo passato di star, a introdurci nella favola nera di Zoo di vetro. Il primo di una serie di capolavori d’antan a cui l’autore, nel primo dopoguerra, dedica la saga dolente della matriarca Amanda e dei suoi figli. I quali, da Tom romantico sognatore che si prepara a seguire sul mare aperto, come un eroe di O’Neill, le orme del padre fino a Laura, la ragazzina zoppa che allevia la sua frustrazione baloccandosi con le figurine di vetro che ai suoi occhi assumono l’aspetto di fragili divinità, hanno la macabra consistenza flou dei fantasmi. Sulle immagini evocate da questa lanterna magica che ci restituisce intatto nella sua impotenza un mondo perduto, Liberovici intesse la sua tela di ragno. A sinistra, inquadrato in un rettangolo gigio che disegna attorno all’attore un reticolato che ricorda un’aureola, il Tom di Ivan Castiglione insieme personaggio e io narrante, enuncia l’avvento di Claudia. Che, in questa singolare edizione del dramma d’anime immaginato da Williams, assume l’aspetto e le movenze di una Madonna degradata a vittima delle proprie pulsioni distruttive.
Memore delle indimenticabili eroine cui ha dato vita sullo schermo, Claudia Cardinale invece di rifarsi alla chiacchiera implacabile di Uta Hagen o all’alto manierismo isterico di Katharine Hepburn che incarnò Amanda in un film cult, disegna con suadente tenerezza un ritratto di donna-bambina prigioniera delle proprie ossessioni. Nel frattempo, davanti a lei il velario si tramuta in uno specchio rifrangente su cui si imprimono, come in un film muto, le didascalie del dramma da camera che l’attrice sarà chiamata a interpretare come se fosse un ectoplasma generato dallo schermo. Non più persona ma immagine evocata dalla luce bianca dei riflettori che costellano il sipario delle battute che in parte dirà, in parte saranno anticipate dal sonoro fuori campo e infine finalmente pronuncerà una volta assolta la sua funzione di portatore cinetico degli eventi, Claudia, alla prova più impegnativa della sua carriera, si conferma come la sola attrice multimediale del nostro tempo. L’unica che, con un coraggio pari alla sua determinazione di proporre nuove sfide al suo talento, sa comporre in un affascinante mosaico di segni concomitanti un personaggio a mezza via tra l’avvenire e il passato grazie al suo mimetismo che passa senza soffrire dall’uno all’altro medium di comunicazione.

Che raggiunge il culmine quando, sotto il palco, si alza la pedana rivelando ingigantiti di segno gli animali di vetro di Laura ridotti a eccentrici strumenti di un’opera dove la parola diviene musica seriale e, al posto del rock, regna sovrana la melodia.

ZOO DI VETRO - di Tennesse Williams Regia di Andrea Liberovici, con Claudia Cardinale. Roma, Teatro Eliseo, fino al 5 novembre.

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