Politica

DAL MAGGIORITARIO AL MINORITARIO

Per Prodi, dunque, «è in gioco la democrazia». Per l'Unità, senza mezzi termini, si tratta di «un golpe». «Non resteremo a guardare», dice il quotidiano comunista chiamando alle armi i lettori. Ora e sempre resistenza, è ovvio, contro l'avanzata della prima dittatura mondiale basata sul sistema proporzionale. Vi sembra strano? Macché. Vengono travolte «regole e istituzioni», sentenzia il direttore di Repubblica che scende personalmente in campo. È necessario, si capisce. Perché molti parlano di truffa, qualcuno di atto di prepotenza o furto, altri addirittura di «manovra banditesca», ma Achille Occhetto non ha dubbi: «È un vero e proprio colpo di Stato».
E noi che pensavamo al proporzionale come il sistema che eleggeva Fanfani e Rumor. Macché: non ce ne siamo accorti, ma dev'essere roba da Pinochet. Uno strumento tecnico per contare i voti nell'urna è diventato di colpo un attacco profondo alla vita democratica del Paese, l'anticamera del macello istituzionale, l'antipasto di un impensabile totalitarismo basato (non si sa come) su premi di maggioranza, scorpori e sbarramento al quattro per cento. E il senso della misura? Esaurito da tempo.
Ma sì, dài: come può arrivare la dittatura attraverso il proporzionale? Siamo seri: si può discutere di eleganza, convenienza, bon ton. Si può essere in disaccordo con i contenuti della legge e con l'opportunità di abbandonare un sistema elettorale come quello maggioritario che ci ha garantito dieci anni di certezze post-voto e di chiara alternanza. Ma come si fa a parlare di golpe? E soprattutto come si fa, in nome della democrazia, a bloccare la vita democratica del Paese?
Fino a prova contraria, infatti, la nuova legge elettorale è stata proposta e verrà discussa, secondo le regole canoniche. Se avrà i voti sufficienti sarà applicata, se non avrà i voti sufficienti verrà respinta. In entrambi i casi, possiamo stare tranquilli, non ci saranno terremoti per il nostro Paese che ha sopportato brillantemente sia cinquant'anni di proporzionale sia dieci anni di maggioritario, sperimentando pregi e difetti di entrambi.
Fra l'altro, a proposito di pregi, se il proporzionale ne ha uno è proprio quello di fotografare meglio la realtà, cioè di distribuire seggi in modo più equo rispetto ai voti effettivamente ottenuti. Come si fa allora a sostenere che (cito testualmente Repubblica) con questo sistema elettorale «chi ha meno voti avrà più seggi»? Come si può vendere il mite e vecchio proporzionale come un pericoloso sistema capace di far vincere alle prossime elezioni chi altrimenti avrebbe perso?
A parte il fatto che se sono davvero convinti di avere grandi margini di vantaggio, come dicono gli esponenti del centrosinistra, non si capisce di che cosa si preoccupino. A parte questo, dicevamo, se c'è un sistema che regala molta rappresentatività (in cambio di poca governabilità) è proprio il proporzionale. Per questo anche molti partiti del centrosinistra l'hanno sempre sostenuto. E non è un caso se persino ieri il manifesto era costretto a definirlo «il sistema di per sé più pulito e democratico». Addirittura.
Non sono convinto che il proporzionale sia davvero il sistema «più pulito e più democratico». Non sono convinto, soprattutto, che sia il sistema migliore. Anzi. Così come restano evidenti dubbi sull'eleganza temporale del cambiamento. Ma non c'è bisogno di Lina Sotis per capire la differenza che passa tra il bon ton e il golpe. E magari per rendersi conto di aver esagerato un po' con le parole. Volete fare una prova? Immaginate un marziano che arriva oggi in Italia. E ditegli: «C'è un tale che vuole cambiare la legge elettorale e c'è un altro che, per impedirglielo, blocca il Parlamento. Secondo te chi è più pericoloso per la democrazia?».

Secondo voi il marziano che cosa risponde? Ecco, bravi, avete indovinato.

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