Maledetti milanesi con il vizio dell’arte

A Palazzo Reale e alla Biblioteca di via Senato due mostre sui bohémien che sconvolsero la città. Caricature contro la borghesia e pittura che dava ragione ai sensi

Maledetti milanesi con il vizio dell’arte

Erano giovani e arrabbiati. Vivevano come capitava, si schermivano del conformismo borghese ed erano pronti a sacrificare la propria vita sull'altare dell'arte. Spregiudicati, indipendenti: erano gli Scapigliati milanesi, e noi ce li siamo dimenticati. A quarant'anni dalla grande mostra dedicata alla Scapigliatura alla Permanente, Milano omaggia una generazione di fine Ottocento che fu contestataria, rivoluzionaria, «maledetta», cento anni prima del Beat, di Woodstock e del Sessantotto. Una esposizione a Palazzo Reale e una mostra letteraria alla Biblioteca di via Senato ci raccontano chi erano questi ragazzi con pochi soldi e tanta passione che si facevano chiamare scapigliati (traducendo il termine dal francese bohème, che significa vita da zingaro), e che non temevano di proclamarsi «pandemonio del secolo». Milano, che all'indomani dall'Unità d'Italia si lanciava nella corsa verso il progresso, fu la madre-matrigna di questa generazione di intellettuali neoromantici e anticonformisti, affascinati dalla vita precaria e senza regole. Alla Scapigliatura - che deve il suo nome al titolo del romanzo «La Scapigliatura e il 6 febbraio» di Cletto Arrighi - è dedicata una mostra letteraria negli spazi della Biblioteca di via Senato: «La Scapigliatura e Angelo Sommaruga. Dalla bohème milanese alla Roma bizantina» esporrà per la prima volta il Fondo di Angelo Sommaruga, il raffinato editore che pubblicò «La Farfalla», rivista su cui gravitavano gli scapigliati e «Cronaca bizantina», dove scrivevano i giovani Carducci e D'Annunzio. Riviste, volumi, caricature e lettere ci raccontano di una generazione effervescente che, come più tardi fecero i futuristi, credeva nella cultura come fattore di scompiglio, come atto di rivolta. E proprio «Scapigliatura. Un "pandemonio" per cambiare l'arte» si intitola la mostra allestita a Palazzo Reale (da venerdì al 22 novembre, catalogo Marsilio editore), che ha il merito di riportare all'attenzione del pubblico una corrente artistica largamente sottovalutata. Ci penseranno 250 opere tra dipinti, sculture, grafiche, fotografie e documenti, a raccontarci la passione di una generazione di intellettuali che chiedeva a gran voce, nella Milano post-unitaria e pronta a configurarsi come capitale morale del Paese, un vero rinnovamento. Insofferenti alla tranquillità borghese, nauseati dalla retorica delle istituzioni, sprezzanti nei confronti del denaro («Se la bolletta fosse un violino, sarei Paganini», soleva scherzare Ranzoni), gli Scapigliati diedero vita a una corrente artistica che riteneva l'arte una espressione dei sensi e che premiava il valore evocativo e suggestivo dell'opera d'arte. Ecco allora che in pittura, così come nei romanzi, la figura, il ritratto, le relazioni tra gli uomini e i loro pensieri sono al centro della scena, mai il paesaggio. Annie-Paule Quinsac, che ha curato la mostra promossa dal comune di Milano, ha ideato un percorso espositivo che segue la cronologia del movimento: si comincia con i precursori dell'estetica scapigliata come il Piccio (alias Giovanni Carnovali) con i suoi quadri dalle atmosfere sfumate del 1860. Il decennio successivo è quello più fecondo: Daniele Ranzoni, Tranquillo Cremona, Giuseppe Grandi sono i nomi più noti.

Una sezione è dedicata poi agli anni Ottanta dell'Ottocento e all'affermazione della scultura scapigliata: il grande Medardo Rosso, Leonardo Bistolfi e ancora Grandi, di cui verranno presentati in mostra i gessi, freschi di restauro, del celebre monumento delle Cinque Giornate di Milano, «un capolavoro che non cede alla retorica», secondo Quinsac. L'ultima sezione si concentra sugli epigoni e dimostra come del linguaggio scapigliato si nutrirà il nascente Divisionismo, come quello, intenso ed evocativo, di Gaetano Previati.

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