La maledizione di internet che uccide tutti i suoi creatori

Lo hanno trovato in piscina come tutti i giorni, niente di strano visto il caldo che fa e non solo qui ad Atherton, il ghetto più ricco di San Francisco, California, settemila abitanti, uno più miliardario dell’altro.Rajeev Motwani galleggiava a pancia in giù, i polmoni pieni d’acqua, nella piscina di casa, morto stecchito. E nemmeno sapeva nuotare. In America lo conoscevano tutti, professore di Computer science alla Stanford university, lezioni sempre gremite come uno stadio di baseball, era arrivato dall’India per un dottorato a Berkley e non se n’era andato più. Erano gli algoritmi la sua ossessione, era stata sua l’intuizione di formule in grado di cercare volumi virtualmente infiniti di dati. Larry Page e Sergey Brin, suoi allievi, presero appunti e inventarono Google. Brin soprattutto, ragazzino russo emigrato in America, che si fece prestare diecimila dollari per mettere in moto un motore di ricerca che adesso viaggia verso i quattro miliardi di dollari di ricavi. Il suo maestro lo ha ricordato in un blog: «Dietro qualunque tipo di tecnologia si stia usando oggi è molto probabile ci sia qualcosa di Rajeev Motwani». Aveva 47 anni.
Dicono sia scivolato. Ma comincia a farsi difficile crederlo. La rete ormai è un assassino. Scienza ed economia. Sta strangolando gli altri media con un ritmo di crescita pubblicitaria del 92% all’anno, il numero di siti Web nel mondo supera i 100 milioni, entro il 2011, dice uno studio, più della metà dei 900 milioni di persone che oggi utilizzano Internet, potranno disporre della banda larga cioè vedere tutto ciò che vogliono «on demand», a scelta, filmati, spot, musica, e nessuno dei media tradizionali, giornali, radio, tv, adesso è più al sicuro da questo Freddy Kruger senza pietà, da questo incubo che tutto divora. Compresi i suoi padri padroni.
Perché adesso pare ci sia anche questo virus seriale che ammazza i creatori del futuro. E il faldone delle vittime è già alto così. Michael Dertouzos, il padre del World Wide Web, uno dei più grandi teorici della rete, ha lottato invano contro una malattia che gli ha strappato la vita a 64 anni, pochi giorni prima dell’11 settembre. Viveva a Boston, ombelico del mondo tecnologico, odiava il computer come Enrico Fermi l’atomica, ne parlava come di una rivoluzione incompiuta, non sopportava chi ne aveva fatto motivo di dipendenza, li voleva docili come lavastoviglie e non tirannici pusher. Era pessimista, soprattutto su se stesso. Si è spento come un computer senza far rumore. Philip W. Katz invece l’hanno trovato in un motel di Milwaukee, ammazzato dall’alcool, cinque bottiglie di superalcolici ai piedi del letto, come un barbone, lui che per i cybernauti era «uno dei miti del Ventesimo secolo». Aveva creato PZZip per caso, nella cucina di mamma, il programma per la compressione dei dati che sta alla base di internet e non ci aveva guadagnato niente perché aveva scelto, lui che era un idealista, di regalarlo alla rete. Non ha lasciato biglietti, tantomeno file. Nessuno sa perché l’ha fatto. Jim Gray se n’era uscito in barca per disperdere nell’Oceano le ceneri della madre morta l’anno prima. Era un navigatore esperto e non soltanto della rete. Ha lasciato il porticciolo di San Francisco diretto alle Isole Faraillon una quarantina di chilometri dal Golden Gate in compagnia della mamma, dentro l’urna, il mare era calmo e aveva appena telefonato alla moglie per dirle che il cellulare si stava scaricando. Aveva 63 anni ed era gennaio. A maggio decisero di non continuare più le ricerche del corpo. Era il genio dell’informatica che stava dietro le mappe satellitari di Google Earth, una specie di leggenda dell’informatica, uno dei fondatori di Microsoft. Nemmeno le sue mappe sanno più dov’è.
Solo coincidenze? Sarà, ma quasi in contemporanea se ne andava anche Robert Adler, uno che ha cambiato la vita di miliardi di persone, che ha costruito le basi della tecnologia senza fili che ha dato vita ai cellulari, ai computer, alla rete. Per non dire della tv.

L’inventore, semplicemente, del telecomando. Centottanta brevetti portavano il suo nome, nemmeno uno lo ha arricchito come si deve. Morto in una casa di riposo nell’Idaho, quasi centenario. Il televisore era spento. E il virus ancora in circolazione.

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