Mancino «mette» i calzini turchesi, il Pdl insorge

SCONTRO Il numero due del Consiglio superiore: «No alle intimidazioni». La reazione: «Non è più imparziale»

Roma«Il potere più e forte, più può intimidire», dice Nicola Mancino al plenum del Csm che si prepara ad approvare a larghissima maggioranza la pratica a tutela sul giudice Raimondo Mesiano. Le critiche di Silvio Berlusconi e di altri parlamentari del Pdl al giudice che ha firmato la sentenza civile sul Lodo Mondadori, come quelle di giornali (il nostro in testa) e tv (il servizio di Canale 5), per Palazzo de’ Marescialli sono una «delegittimazione della funzione giudiziaria» e un tentativo di «condizionamento per ciascun magistrato».
Nella sala solo i due laici del Pdl sono contrari. Gianfranco Anedda va giù duro: contro il Csm, che vede «minacce e intimidazioni che non esistono» e contro Mancino per il «lento decadimento della sua imparzialità». Una sorta di sfiducia al numero due dell’organismo di autogoverno, che voterà sì insieme a tutti i togati e ai laici del centrosinistra, compreso il relatore Udc Ugo Bergamo.
Mancino, toccato nel vivo, replica: «La mia imparzialità non è in discussione, sono uno dei pochi che non ha tessera, né iscrizioni a partiti, capigruppo e segretari di partito». Poi, denuncia il «clima invivibile che si sta instaurando nel Paese e lo rende insensibile rispetto ai valori» e «l’uso del consenso nei confronti di altri poteri, che è deviato e porta ubriacature».
Già aprendo la seduta il vicepresidente avverte che l’«allarmata preoccupazione» del Csm è anche del capo dello Stato, «consapevole delle inquietanti connotazioni della vicenda». Un modo per assicurare che Giorgio Napolitano stavolta condivide la necessità di una di quelle pratiche a tutela il cui abuso e la cui strumentalizzazione lui stesso ha criticato più volte, inducendo Palazzo de’ Marescialli a darsi regole più rigide in merito.
Proprio a questo si riferisce Anedda: il Quirinale ha «ispirato» la recente modifica del regolamento del Csm, che ha introdotto un filtro delle pratiche a tutela per verificare che non siano a difesa della singola toga, ma del prestigio dell’intera magistratura. Intervenendo ora, per Anedda, il Csm contraddice questa norma, fa il «processo alle intenzioni» e «critica un’opinione». Quando Felice Casson era pm a Venezia, ricorda, finì davanti alla disciplinare per aver criticato una sentenza che lo smentiva. E fu assolto in nome di uno «stato d’animo» giustificato da un «clima di tensione collettiva». Per le stesse ragioni Berlusconi dovrebbe essere assolto dal Csm e invece viene condannato.
Il vento nell’aula spira in tutt’altra direzione nelle tre ore di dibattito. «Ora - dice Bergamo - ogni giudice sa che può essere sottoposto a un processo mediatico senza possibilità di difendersi». È il «colpirne uno per educarne cento», spiega il laico Ds Vincenzo Siniscalchi. Di «olio di ricino mediatico» parla Fiorella Pilato di Magistratura democratica. «C’è stata un’investigazione per screditare Mesiano», denuncia Fabio Roia di Unicost, riferendosi a Canale 5.
Fuori da Palazzo de’ Marescialli, la maggioranza attacca il Csm «corporativo», che tutela «i calzini di Mesiano ma non privacy di Berlusconi» e l’opposizione accusa il Pdl di volere le toghe «asservite» alla politica.
Massimo D’Alema approva la mossa del Consiglio, mentre Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello pensano a prevenirne altre del genere.

E annunciano due disegni di legge: uno per limitare i pareri del Csm a quelli su richiesta del ministro e solo prima dell’approvazione del Consiglio dei ministri; l’altro perché le pratiche a tutela non danneggino «riservatezza, serenità e imparzialità della funzione giudiziaria e soprattutto condizionino il regolare svolgimento di procedimenti pendenti».

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