Politica

Le mani di Renzi sull'informazione

Dal Corriere a Libero, dai Tg1 ai talk Rai: il premier cerca di occupare tutti gli spazi per la campagna del "Sì" al referendum

Le mani di Renzi sull'informazione

L'atmosfera è opprimente anche per un Paese che da sempre non prende mai le cose troppo sul serio. Sul banco del Senato Paolo Bonaiuti, storico portavoce del Cavaliere, da qualche anno passato per nulla convinto tra i seguaci di Alfano, scuote la testa in segno di disagio. «Se avessi dato io l'indicazione di far fuori un direttore di quotidiano, o se qualcuno ne avesse avuto l'impressione, mi avrebbero crocifisso. Mi avrebbero ribattezzato Martin Borman, il segretario del Führer». Poco più in là, nella stanza di lettura di Palazzo Madama, mentre guarda distrattamente i quotidiani, il suo «contrario» Silvio Sircana, il personaggio che per anni ha curato l'informazione di Romano Prodi, esprime un giudizio quasi analogo. «Ormai i giornali - sospira - la pensano tutti allo stesso modo. Hanno un approccio, diciamo, renziano. E il dato incredibile è che, malgrado l'enorme armamentario mediatico, l'indice di gradimento di Renzi è al 28%, appena tre punti sopra a quello di Enrico Letta nel momento più basso».

Sono parole che colpiscono visto che con esse due personaggi che per storia, cultura e appartenenza sono agli antipodi, esprimono un giudizio pressoché identico. È la constatazione, più o meno cruda, che la madre di tutte le battaglie, cioè il referendum di ottobre, si combatterà soprattutto con i cannoni, i carri armati, gli incrociatori dell'informazione. Il «caso Belpietro» è emblematico visto che nel Palazzo tutti, ma proprio tutti, lo hanno letto allo stesso modo: portare uno strumento di comunicazione con l'elettorato moderato, di centrodestra, sul versante del fronte del «Sì» renziano. Che l'operazione sia avvenuta dopo un incontro tra Renzi, Verdini e l'editore del giornale Angelucci, o sia stata invece una pensata dei primi due poco importa. Insomma, troppa arroganza rischia di suscitare insofferenza. «Non c'è mai stata - sospira con disappunto Gateano Quagliarello, prima nella maggioranza di Renzi e ora all'opposizione - una situazione del genere. È il colmo. Finiremo per scrivere sui muri».

La verità è che più passano i mesi e più Renzi scopre la sua vera natura, quella di uomo di potere. Per il Premier il consenso si conquista occupando le poltrone strategiche negli enti o nelle aziende pubbliche, nei ministeri: questa è la sua strategia che, di conseguenza, applica anche all'informazione. Si parli di Rai o di giornali. Così una campagna referendaria si imposta occupando gli spazi, conquistando gli avversari che si possono conquistare, o emarginando i più ostinati. Portare Libero su una linea editoriale diversa, cambiare un direttore del Tg3 troppo irriducibile, o far fuori dal palinsesto Rai una trasmissione come Virus, sono facce della stessa medaglia. E poco importa che qualcuno denunci la fine del pluralismo, o che critichi il conformismo o, peggio, il servilismo dei media. Sono questioni che si esorcizzano, magari con l'ironia. «Il regime - dice tra il serio e il faceto il renziano, Andrea Marcucci - avanza lentamente e inesorabilmente».

Appunto, stampa®ime, parlarne il giorno della morte di Marco Pannella, che ne fece uno dei suoi cavalli di battaglia, fa una certa impressione. Eppure mai come ora la questione è attuale. Ed è foriera di contraddizioni e ironie. Specie se si tiene conto che chi ora ci ride su, per venti anni ci ha vissuto su, lucrando e speculando sull'epica battaglia contro il Cavaliere, contro il tycoon dell'informazione che sconfinò nella politica. Un meccanismo che genera anche un paradosso: o per fotografare l'attuale situazione o come battuta estrema molti vedono proprio in Berlusconi, nell'arcinemico del pluralismo di un tempo, il suo ultimo baluardo. È una reazione automatica di fronte all'espansionismo renziano, alla sua bulimia di Potere. Ad esempio, il premier, di fatto, ha già cominciato la sua battaglia referendaria. Ne parla tutti i giorni. Una battaglia che si svilupperà da qui per tutta l'estate, fino ad ottobre. Le opposizioni due giorni fa hanno richiesto in commissione di vigilanza Rai di dare già delle indicazioni alla Rai, per evitare che il fronte del «Sì», grazie al premier, faccia man bassa degli spazi in tv. Il rischio è che Renzi, approfittando della chiusura del talk show estivi, sviluppi la campagna soprattutto sui tg. «Quello è capace - sostiene Maurizio Gasparri - di parlare di referendum sia se inaugura una scuola, sia se assiste ad una partita di calcio». Ma non c'è stato niente da fare, il Pd ha fatto muro, suscitando le ire del grillino Airola, la voce più stentorea del Senato, che in mezzo all'emiciclo di Palazzo Madama ha esclamato: «Siamo in una condizione peggiore di quando c'era un premier che era proprietario di tre tv!».

Se questa è solo una battuta, più serio è il ragionamento che fa un ospite da sempre gradito in casa Bazoli (per anni padre e padrone di Banca Intesa), che ha visto sempre il Cavaliere con diffidenza e ora gli chiede aiuto della grande battaglia sul Corriere. «Da una parte - spiega pretendendo l'anonimato - c'è Cairo e Intesa, che vogliono il Corriere su una linea più plurale sui referendum. Del resto le Tv di Cairo sono le uniche che non sono schierate, pubblicamente o meno, per il Sì. Sull'altro versante ci sono gli altri soci guidati da Mediobanca che ne fanno una questione di bilancio, ma che nascondono anche una logica politica. Alberto Nagel? È renziano. Tronchetti? A sentirlo parlare pure. Cimbri di Unipol? Un misto, ma non può mettersi contro il segretario del Pd. Bonomi? Anche lui renziano. Resta Della Valle che prima era renziano, poi anti e ora non si sa cosa sia. Si sa, invece, la ratio dell'operazione: mettere altri 40 milioni sul Corriere per interdire l'operazione di Cairo facendo un favore al governo. Ebbene perché il Cav presente in Mediobanca non si oppone ad un esborso che ha solo il senso di bloccare Cairo? In fondo Berlusconi e Confalonieri avevano benedetto l'operazione del padrone di La7».

Paradossi del Belpaese, appunto, il Cavaliere Nero che si trasforma nel Cavaliere Bianco. Ma in fondo la grande battaglia «trasversale» del referendum impone trasformazioni repentine. Giorni fa Verdini, accompagnato dai suoi consiglieri Riccardo Conti e Enrico Piccinelli, ha pregato Marcello Pera di diventare il presidente del comitato per il «Sì» del suo partito. Un nome di prestigio oggi per il referendum, domani per il governo.

La campagna acquisti attraverso le poltrone, secondo il vangelo renziano, continua.

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