Una mano alla giustizia

Una mano alla giustizia

Che lo si accetti o no, l'amnistia riguarda un grande problema civile e sociale la cui portata, oggi, difficilmente può essere ignorata. Si possono avere idee diverse e opposte sull'opportunità di un'amnistia (estinzione del reato) o di un indulto (estinzione della pena), sulla loro estensione e incidenza, ma sta di fatto che gran parte degli operatori, siano essi magistrati o avvocati, guardie penitenziarie o funzionari giudiziari, ritiene quasi inevitabile un provvedimento di grazia al fine di fare funzionare decentemente l'intero sistema.
Si devono ringraziare gli organizzatori della marcia di Natale, che ha percorso le strade di Roma dal Vaticano al Quirinale, per avere portato all'ordine del giorno della politica una questione così delicata e importante. Si è trattato di un altro colpo di fantasia di Marco Pannella sostenuto da don Mazzi e dai senatori a vita Cossiga, Andreotti e Napolitano. E si deve pure essere grati agli oltre duecento deputati di tutti i gruppi che, su sollecitazione di Roberto Giachetti, hanno voluto una sessione straordinaria della Camera - in corso mentre il lettore sfoglia il Giornale - per discutere nella appropriata sede istituzionale i provvedimenti da prendere.
Staremo a vedere che cosa accadrà. Se sarà messa in cantiere un'amnistia, un indulto, o entrambi, e, soprattutto, con quali tempi e modi il Parlamento risponderà alle attese rimaste a lungo sospese, almeno da quando, tre anni fa, Papa Giovanni Paolo II parlò a Montecitorio. È un fatto positivo che su una questione così delicata, che non può essere appannaggio della maggioranza o dell'opposizione, si siano formate convergenze e divergenze al di là dei consueti schieramenti partitici. Del resto per giudicare l'opportunità di un'amnistia, devono contare sia il giudizio politico che il sentimento personale dettato dalla coscienza.
Sappiamo che il presidente del Consiglio Berlusconi si è dichiarato favorevole mentre alcuni rappresentanti dei partiti di maggioranza, Gasparri di Alleanza nazionale e il ministro Castelli della Lega, hanno manifestato contrarietà. Anche sul fronte dell'opposizione i pareri sono discordi: favorevoli i socialisti, i rifondatori comunisti e i verdi, ben disposti molti dei parlamentari della Margherita, sono invece divisi tra riluttanti e disponibili i Democratici di sinistra. Spetta ora al presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, sapere ascoltare le volontà dei membri della sua assemblea, soprattutto in questo caso in cui l'iniziativa legislativa è passata dalla società al Parlamento, e qui è stata messa all'ordine del giorno per volontà di parlamentari d'ogni tendenza.
In teoria nessuna persona di buon senso dovrebbe volere un'amnistia come ricetta per fare funzionare il sistema giudiziario-carcerario. Tutti noi auspichiamo regole buone ed efficaci per l'amministrazione della giustizia, per la graduazione delle pene, per i tempi dei processi, per le condizioni di detenzione, e per la rieducazione dei detenuti. Ma tutto ciò esiste oggi in Italia? La risposta, purtroppo è negativa, del tutto negativa.
Milioni sono gli arretrati dei processi che spesso non riescono ad avere alcuno sbocco. I detenuti nelle carceri sono due volte quel che le strutture possono sopportare. La qualità della vita carceraria, per il sovraffollamento e l'arretratezza degli edifici, è impensabile in qualsiasi altro Paese civile. E i detenuti maggiormente penalizzati sono quelli che hanno commesso i reati minori, tossicodipendenti ed extracomunitari, che non dispongono di una decente assistenza legale, di possibilità finanziarie e sono in balìa di strutture che non riescono ad assolvere i compiti previsti dalla Costituzione.
Se così è, come si fa oggi a rifiutare un'amnistia come provvedimento tampone? Certo, rimangono i problemi, piccoli e grandi, di sicurezza del cittadino che dovrebbero venire prima di ogni altra cosa. Ma un discorso logico e realistico dovrebbe considerare la questione della giustizia separatamente dai problemi di sicurezza che non si risolvono tenendo in carcere il maggior numero di persone e nelle peggiori condizioni.
Un Paese civile non dovrebbe mai ricorrere a provvedimenti eccezionali come l'amnistia.

Ma il nostro - questa è la verità - civile non è nel modo in cui funziona il sistema giudiziario e quello penitenziario. Questa è l'amara considerazione che ci fa ritenere che la strada di un provvedimento di grazia, indicata oggi da tante e così diverse personalità, è inevitabile.
m.teodori@agora.it

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