Politica

Manovra senza ripresa

Bersani batte Padoa-Schioppa per due a zero, e il governo perde un’occasione che difficilmente si ripresenterà ancora. È questo, in sintesi, il senso politico della manovra varata dal governo l’altro giorno, al di là delle tradizionali ed opprimenti risse quotidiane tra i rappresentanti del centrodestra e quelli del centrosinistra. Bersani ha trovato la forza e il coraggio per non concertare nulla e ha preparato alcune norme che certamente faranno bene al disboscamento di rendite di posizione nella vita economica del Paese. Altrettanto certamente, però, non saranno esse a far riprendere la strada della ripresa economica all’Italia. Le norme di Bersani, infatti, in chiave di sviluppo economico, producono poco o niente, e in qualche caso addirittura impoveriranno alcune categorie certamente non ricche, come i tassisti. Già oggi i Comuni hanno la potestà di dare più licenze di tassì, e non sarà certo l’abolizione del divieto di cumulo di avere più licenze a introdurre elementi veri di concorrenza. Non fosse altro perché il settore rientra tra quelli amministrati, e cioè con tariffe obbligatorie per tutti, per cui al consumatore in tasca non verrà nulla se non, forse, un miglioramento del servizio perché ci saranno più tassì. Ma questa possibilità già era nei poteri dei Comuni. Una cosa sarà certa, però, che i già magri bilanci dei tassisti di oggi verranno ulteriormente ridotti. Probabilmente avremo l’ingresso massiccio di società o di cooperative che invaderanno il settore, trasformando così i piccoli imprenditori di oggi in dipendenti di domani.
Al di là, comunque, del merito di ogni norma che può sempre essere migliorata, Bersani converrà che il suo decreto mentre rappresenta una ventata di aria fresca per rimetterci tutti in discussione in una visione più liberale della vita, non contiene nulla per sollecitare quella ripresa economica la cui fragilità è stata per tutte queste settimane urlata da molti, a cominciare da Padoa-Schioppa. Il ministro dell’Economia è il vero sconfitto di questa prima passata di mano perché nulla di cui aveva parlato ha trovato spazio nella manovra del governo.
L’allarme sui conti pubblici, da noi fortemente criticato perché fibrillava anzitempo i mercati, oggi ritorna come un boomerang sulla credibilità finanziaria dell’Italia. Quando ci si contenta di ridurre il deficit di appena lo 0,1 per cento nel 2006, e cioè 900 milioni di euro, una grandezza economica che ha nella sua dimensione una straordinaria comicità, è segno che o i conti sono in ordine, o il governo non ha la forza per provvedervi. Noi riteniamo che il deficit viaggi attorno al 4,2-4,3 per cento e che poteva non essere corretto se si fosse messo mano al rilancio dello sviluppo. Ma così non è stato, per cui non avremo né una ripresa più forte, né una correzione significativa dei conti pubblici.
Non ricordiamo alcuna manovra economica che negli ultimi 40 anni si sia fermata a una correzione dello 0,1 per cento dei conti pubblici, rinviando il tutto, come si legge in un comunicato, al famoso e famigerato Dpef, privo di effetti pratici, che sarà presentato nei prossimi giorni, e che altro non sarà che un assemblaggio di previsioni sbagliate e di impegni gran parte dei quali andranno in cavalleria, come ci hanno dimostrato gli ultimi dieci anni. Ma dove sono finiti gli impegni a mettere sotto controllo con scelte coraggiose, ma non rivoluzionarie, i grandi comparti della spesa corrente primaria (sanità, previdenza, enti locali e pubblico impiego)?
Nel famoso Documento di programmazione finanziaria di prossima pubblicazione, ci dicono. E dove sono gli strumenti per dare la famosa scossa all’economia italiana mettendola sul virtuoso sentiero della crescita? Sempre nel Documento di programmazione finanziaria. Chi si è preso quella promessa della riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro, che pure avrebbe dato un po’ di respiro alla competitività di prezzo per le nostre imprese esposte alla concorrenza internazionale? Sempre e solo il famoso Dpef. E dove si sono nascosti gli altri strumenti per attivare ricerca e innovazione in grado, nel medio periodo, di farci recuperare incrementi significativi di produttività del lavoro e quindi di competitività? Sempre nel Dpef, ci dicono, che sembra così sempre più un vaso di Pandora che nasconde tutto ciò che non si vede. Cioè quasi tutto. Non nascondiamo che alcune norme per combattere elusione ed evasione, con particolare riferimento all’Iva, hanno del buono, anche se l’abolizione del concordato fiscale, almeno in prima battuta, determinerà una riduzione del gettito. Nell’insieme, dunque, si tratta di poca cosa, totalmente inadeguata al bisogno estremo che il Paese ha di ricominciare a correre. Dopo aver sentito annunci catastrofici, finora segniamo il passo, superati da quasi tutti i Paesi europei sul terreno della crescita e del controllo della finanza pubblica. La preoccupazione è fin troppo scontata.

Se la scelta sarà quella di fare una concertazione pian pianino, avanti adagio, senza svegliare il piccino che dorme tra le braccia delle forze sociali, l’Italia farà pochissima strada.

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