Cultura e Spettacoli

Manzarek ci prova ancora a resuscitare il gruppo

Persa la causa per l’utilizzo del nome, l’organista e Krieger ora sono i «Riders On the Storm»

I Doors non possono diventare una band da operetta, come il tastierista e fondatore Ray Manzarek vorrebbe fare. «Jim era una specie di dio, una reincarnazione di Dioniso; ma c’era anche la nostra musica ricca di blues e di improvvisazioni jazz ispirate a John Coltrane». Così Manzarek lo scorso marzo, con un colpo al cerchio ed uno alla botte, in uno sciccoso hotel di Londra, festeggiava i 40 anni della band proponendone una discutibile rinascita tipo araba fenice.
In pratica una reunion da separati in casa. I tre sopravvissuti hanno presentato l’antologia del quarantesimo senza neppure incontrarsi, ciascuno in un diverso albergo londinese. Più perde i pezzi più Manzarek s’intestardisce a tornare sulla scena. Solo Robby Krieger sembra essergli rimasto fedele. John Densmore, il batterista originale, ha preso subito le distanze; anzi, ha scatenato gli avvocati contro gli ex compagni, vincendo la causa per impedir loro l’utilizzo del logo Doors, e ha sbattuto definitivamente «le porte» sentenziando: «Se vogliono continuare, almeno non tocchino il nostro nome».
Manzarek, ancora guru della controcultura - non manca mai agli avvenimenti più à la page, come la celebrazione a San Francisco, due mesi fa, della nascita degli hipppie -, ha deciso di portare la fiaccola dei Doors per il mondo. Ovvero, ha messo su un nuovo gruppo per rilanciare un mitico repertorio che non ha alcun bisogno di rivisitazioni o di rispolverate nostalgiche. Prima ha reclutato il cantante dei Cult, Ian Ashbury, ed è partito per un giro di concerti (con contorno di sette dischi dal vivo) con il furbastro nome di Doors of the 21st Century; poi ha rimescolato tutto, ha ingaggiato l’ex vocalist dei Fuel Brett Scallions e ha battezzato il nuovo quintetto Riders On the Storm, dal titolo di un superclassico tratto dal glorioso album L.A. Woman. Cui prodest? D’accordo che di questi tempi risorgono grandi vecchi come Who (a Torino osannati anche se il povero Roger Daltrey è rimasto senza voce), Police, Led Zeppelin (per un solo show milioni di richieste di biglietti). C’è nostalgia e fame di vero rock, ma i Doors senza la fisicità, la trasgressione, il magnetismo da vate pagano che vive in un aldilà illuminato dai riflettori di Jim Morrison, che senso hanno? Lothar alcolizzato o moderno Baudelaire che si voglia, è lui l’anima di Light My Fire, The End, Roadhouse Blues, Waiting For the Sun. È vero, ci sono i suoni brutali, taglienti, psichedelici, improvvisati e bluesati che lasciano il senso della tradizione. C’è l’onestà intellettuale di Manzarek quando dice: «Ho detto a Scallions di non imitare Jim ma di farne arrivare lo spirito attraverso le canzoni».

Ma non si possono ridurre i Doors a «Una rotonda sul mare».

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