Economia

Mapei, quel piccolo laboratorio diventato una multinazionale

L’azienda, leader mondiale negli adesivi e prodotti chimici per l’edilizia, compie 70 anni Con una forza lavoro di 5.300 unità, conta una presenza produttiva nei cinque continenti

All’inizio, settant’anni fa, la Mapei si occupa - alle porte di Milano e con appena tre dipendenti - di intonaci colorati, pitture protettive, collanti a base di caseina. Rivestendo dei suoi prodotti anche le facciate dell’Ospedale Maggiore. Oggi quell’azienda è una multinazionale leader mondiale negli adesivi e prodotti chimici per l’edilizia con 5.300 dipendenti, una presenza produttiva nei cinque continenti, una crescita annua a due cifre, mai un bilancio in rosso e mai un giorno di cassa integrazione.
L’azienda artigiana. Il segreto del successo? «Pensare in grande ed espandersi nel mondo senza perdere le caratteristiche di un’azienda artigiana», spiega Giorgio Squinzi, amministratore unico dell’azienda fondata nel 1937 dal padre Rodolfo.
Detto in questo modo, il segreto della Mapei sembra privo di troppi misteri. Anzi, sembra di una semplicità incredibile, tanto più che Giorgio Squinzi, occhiali da vista, sorriso a volte timido e insofferenza innata per gli elogi, non ama i paroloni. E cercando di farsi capire sempre da tutti, rende quindi ogni cosa piuttosto semplice. In realtà il segreto della Mapei è il frutto di una strategia portata avanti con decisione dal padre prima e dal figlio poi e basata su tre punti: la specializzazione innanzitutto, quindi l’innovazione, infine l’internazionalizzazione.
La passione del ciclismo. Meglio, l’idea della specializzazione, l’idea cioè di concentrarsi su una particolare nicchia di mercato realizzando adesivi e prodotti chimici per la messa in opera dei pavimenti, è di papà Rodolfo, un giovanotto con la passione del ciclismo, nono di undici tra fratelli e sorelle, muratore dall’età di 12 anni prima di mettersi in proprio quando è sulla soglia della trentina dando vita alla Mapei che non ha nessun mistero nel nome ma significa solo «Materiali ausiliari per l’edilizia e l’industria».
L’idea gli viene in particolare nel dopoguerra: abbandona pitture e intonaci per concentrarsi sugli adesivi necessari nella posa dei pavimenti. Abbinando una colla a ogni tipo di pavimento e rivestimento: quindi per il linoleum, per la moquette, per il legno, per la ceramica, per il pvc, per le pietre naturali e così via. Ed è grazie all’impetuoso sviluppo della ceramica, prima in Italia e poi all’estero, che le vendite della Mapei s’impennano. Col tempo la gamma viene anche ampliata ai sigillanti, alle malte speciali, agli additivi per il calcestruzzo.
L’innovazione porta invece il nome di Giorgio Squinzi, il figlio. Classe 1943, una sorella che farà poi l’avvocato, forte passione per il ciclismo e la lirica, Giorgio ha nel suo Dna il gusto per la ricerca: da ragazzino abita infatti nella casa che è all’interno dell’azienda, in via Cafiero, e ogni pomeriggio, sin da quando è studente liceale al Vittorio Veneto, si rifugia in una stanza che è ricavata un piano proprio sotto casa sua e ospita il piccolo laboratorio della Mapei. Dirà: «Sono nato in azienda».
Le formule segrete. Così passa il tempo a provare formule vecchie e a inventarsene di nuove prima ancora di andare all’università Statale e laurearsi in Chimica industriale. Inventa l’Adesilex P9 per la ceramica, soprattutto inventa una colla preconfezionata, la P22, che rivoluziona il mercato e il modo di lavorare dei posatori di pavimenti: fino ad allora sono costretti a confezionare ogni volta sul posto di lavoro la malta cementizia che occorre, ora invece si ritrovano un prodotto standard già pronto all’uso. Ed è Giorgio a creare il Centro ricerche della Mapei che all’inizio ha solo due persone, una delle quali è lui. Oggi i Centri ricerche sono sette nel mondo (due in Italia, a Milano e Villadossola, e cinque sparsi tra Canada, Francia, Stati Uniti, Germania, Norvegia), i laboratori per il controllo qualità sono 47 e i ricercatori sono più di 600, il 12% dei dipendenti del gruppo.
Dice Squinzi, dal 1997 più volte presidente della Federchimica e vicepresidente della Confindustria proprio nel settore della ricerca: «Chi non inventa cose nuove, è destinato fatalmente a scomparire». Per questo motivo si rammarica che da noi «ci sia così poco impegno» a investire nell’innovazione. Molte le parole, pochi i fatti.
La svolta di Montreal. La fase dell’internazionalizzazione inizia con l’apertura nel 1978 di un piccolo stabilimento a Montreal, in Canada. Ed è papà Rodolfo a volerlo dopo avere fornito gli adesivi per i pavimenti in gomma utilizzati per le piste di atletica delle Olimpiadi di Montreal del 1976. Poi è la volta dell’Austria, considerata un trampolino di lancio verso il mercato tedesco che è uno dei più importanti d’Europa; quindi degli Stati Uniti con uno stabilimento a Phoenix in Arizona, grazie allo sviluppo interessante della ceramica. Un’espansione portata avanti con determinazione da Giorgio, alla guida dell’azienda dopo la scomparsa del padre nel 1984. Sono aperti nuovi stabilimenti nei punti nevralgici del mercato mondiale dell’edilizia, dall’Europa alle Americhe, dal Far East al Medio Oriente, dall’Africa all’Oceania, secondo una strategia precisa: ogni stabilimento deve riflettere la cultura industriale del luogo in cui sorge e quindi deve essere canadese in Canada, americano negli Stati Uniti, francese in Francia e via di questo passo.
Le acquisizioni. L’azienda vuole crescere, ed ecco la campagna acquisti: la Vinavil in Italia, famosa per la «colla bianca», la Rescon in Norvegia, la Sopro in Germania, la Gorka Cement in Polonia. E poi un’industria estrattiva di sabbia in Italia, la Vaga, e un produttore tedesco di materiali bituminosi, la Rasco. Si tratta comunque di un’espansione obbligata: la produzione di adesivi e prodotti chimici per l’edilizia non può essere svolta a più di 400-500 chilometri di distanza in quanto i costi di trasporto la renderebbero fuori mercato. Nasce così nelle università, dove il caso Mapei diventa argomento di studio, la definizione che poi viene data all’azienda di Squinzi: «Una multinazionale per forza».
Sponsor di sport e cultura. Una laurea honoris causa del Politecnico di Milano in Ingegneria chimica, sponsor di concerti e delle squadre nazionali di calcio dopo esserlo stato per nove stagioni agonistiche di una squadra di ciclismo che è quella che in assoluto ha vinto di più nella storia della bici, Giorgio è sposato con Adriana Spazzoli, una romagnola dal carattere dolce e nello stesso tempo forte come tutte le donne di quella terra e da una ventina d’anni il cuore del marketing e della comunicazione del gruppo Mapei, composto oggi da 50 aziende consociate con 47 stabilimenti produttivi operanti in 24 Paesi. Gli ultimi due impianti, già operativi, sono sorti in Vietnam, e a Stupino, in Russia; altri sono in costruzione in giro per il mondo. Il quartiere generale è sempre a Milano, in viale Jenner, il fatturato totale di quest’anno sarà di 1,6 miliardi di euro, le spese per la ricerca sono il 5% del fatturato, i prodotti superano ormai il migliaio, dagli stabilimenti Mapei escono ogni giorno 16mila tonnellate di prodotti finiti ed entrano altrettante tonnellate di materie prime.
La terza generazione. In azienda lavorano già da qualche anno i due rappresentanti della terza generazione Squinzi: Marco, 1971, laurea in Chimica industriale, coordina tutte le attività di ricerca; Veronica, laurea in Scienze politiche e master alla Bocconi, segue invece la pianificazione strategica. È la ricerca il settore in cui Mapei continua ancora oggi a fare il maggiore numero di assunzioni. I laboratori, dotati di strumenti d’avanguardia, lavorano in stretto contatto tra loro ma anche con università in tutto il mondo. E fungono anche da supporto all’assistenza tecnica per la soluzione più difficile dei problemi dei clienti. Giorgio Squinzi, che crede nella formula del capitalismo familiare, è convinto che l’innovazione sia sempre il futuro dell’azienda. Ma, dice, si tratta di «un circolo virtuoso. L’azienda resta sul mercato se sa internazionalizzarsi. L’azienda diventa internazionale se è competitiva. L’impresa è competitiva se fa ricerca. Per fare ricerca serve una visione aperta al mondo, una visione internazionale».


E dal momento che negli ultimi anni la Mapei è cresciuta del 18% l’anno, un ritmo che ha dell’incredibile, almeno dalle nostre parti, l’obiettivo è di arrivare ai 2 miliardi di fatturato nel 2010.

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