La cosa che ancora entusiasma Ivano Fossati, il primo ricordo della sua infanzia, è quel senso di uguaglianza che si respirava. Come una sensazione di non avere niente da invidiare a nessuno, mai più capitata. Un tesoro, svanito per sempre.
Avevano i cappotti dei fratelli maggiori, prima rivoltati e poi accorciati. I pantaloni di fustagno, pesanti, che diventavano pantaloni corti. Sempre di fustagno. Le merende sparivano, alle dieci del mattino c'era fame vera, fame nera di bambini che non mangiavano dal giorno prima. «Scene pietose e bellissime, la focaccia difesa con le unghie e con i denti. Un mondo che oggi sembra ancora più lontano. Come, aver visto un film, e poi si ripristina la realtà».
Fossati non ama la retorica e non rimpiange il progresso. Di quei malanni, di quella povertà, non c'è niente da recuperare. Tranne quel sentimento di uguaglianza.
L'invidia scattava soltanto quando quello leggermente più benestante aveva una bicicletta prima degli altri. Accadde con il meno povero del gruppo, Angelo. Lì scattò subito una diversità. La comparsa di una bicicletta nuova, una fiammante Olmo, «addirittura con i primi specchiettini». Provocò una ferita. (...)
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