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Marco Valisa (Direttore di RFX): "Il test Usa? Un successo. Ma loro sono molto più indietro"

"Il problema è che la parola nucleare ha un'accezione negativa: nel rumore generale dell'informazione si leggono cose che confondono la gente"

Marco Valisa (Direttore di RFX): "Il test Usa? Un successo. Ma loro sono molto più indietro"

«Il problema è che la parola nucleare ha un'accezione negativa: nel rumore generale dell'informazione si leggono cose che confondono la gente». Marco Valisa è il direttore del Consorzio RFX, uno dei poli più d'eccellenza in Italia: «In Germania anche la fusione è stata osteggiata nonostante sia tecnologia pulita. Ora per fortuna prevale l'aspetto ecologico».

Padova è un orgoglio italiano.

«È l'unico pezzo della futura centrale ITER che si fa fuori da ITER. Qui l'accendino sarà sviluppato e ottimizzato, in Francia verranno costruiti i veri iniettori. Poi l'impianto in RFX resterà per i test che là non si possono fare».

Una grande responsabilità.

«Diciamo che se fallissimo, l'umanità avrebbe un freno al progresso. Magari ci saranno altre strade, di sicuro più costose e più lunghe».

In Usa alla fusione ci sono arrivati.

«Chiariamo: quello è un test finanziato per interessi militari. Da quando non si fanno più quelli nucleari si sperimentano le teorie, in questo caso creando micro esplosioni - implosioni in realtà - interessanti per il programma nucleare. C'è un risultato sulla produzione di energia, ma sono molto lontani dal contenimento magnetico».

Che si sta perfezionando qui.

«Dal punta di vista scientifico quello americano è un grande risultato. La nostra tecnica serve a capire se la fusione sia fattibile, così come predetta un secolo fa. Quando non c'era il neutrone».

Quali sono i maggiori ostacoli?

«Fare l'equivalente di una stella in uno dei punti più freddi dell'universo. E non è semplice controllare il risultato. Però noi siamo maestri nell'altro esperimento, il Reverse Field Pinch, che sembra essere la tecnologia più promettente. Anche dal punto di visto economico».

La fusione è pace del mondo?

«Potrebbe. L'esempio è che a Padova collaboriamo con Giappone, India, Usa, Russia. ITER è un'isola speciale in un mondo, anche scientifico, in guerra».

E davvero non ci sono rischi?

«L'unico vero è di non riuscire a portare il plasma a produrre energia in maniera affidabile. Viene anche usato il trizio, che di per sé è radioattivo, ma essendo un isotopo dell'idrogeno in acqua diventa innocuo. Anche in caso di catastrofe peggiore avrebbe effetti limitati: ma la catastrofe sarebbe un bombardamento atomico e avremmo altri problemi...».

Quando la fusione sarà per tutti?

«Mezzo secolo? Chissà: stanno uscendo tante start up, il che dimostra grande interesse finanziario. E l'intelligenza artificiale aiuterà a calcolare più velocemente. L'importante è che l'uomo tenga il controllo, poi basterà l'acqua di mare».

È un futuro che forse lei non riuscirà a vedere.

«Detto così fa impressione: io vado in pensione fra tre-quattro anni, se mi va bene nel 2032 magari mi inviteranno a ITER, ma non sarà la stessa cosa. Però la scienza ha tanti traguardi intermedi che sono altrettanto importanti.

E questo dà senso al mio lavoro».

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