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Da Marcos fino a Maradona: il subcomandante Moratti fa la rivoluzione nerazzurra

Il guerrigliero con la maglia e Chavez ospite a San Siro nell’album da presidente no global. Che ora vuole assumere in società il Pibe amico di Fidel e nemico del petroliere Bush

Da Marcos fino a Maradona: il subcomandante Moratti fa la rivoluzione nerazzurra

Adesso per completare la rosa manca solo Evo Morales. Okay, ha 47 anni, non è più di primo pelo come Figo, gioca nella B boliviana, numero 10, ed è stato appena tesserato dal Litoral di La Paz. Gli arbitri non gli fischiano contro nemmeno una sosta vietata. Non solo perchè è il caudillo della nazione, ma anche perchè il Litoral è la squadra della polizia. Un paio d’anni fa con un decreto legge il medio Evo ha nazionalizzato tutto il gas estratto dalle compagnie internazionali, se volete ricontrattare tutto, ha spiegato a muso duro, si riparte da zero e alle mie condizioni. Cioè praticamente il giocatore ideale per Moratti che amministra la più grande raffineria di petrolio del Mediterraneo, 15 milioni di tonnellate l’anno di petrolio grezzo trattato e un fatturato di 6 miliardi di euro. Prima o poi l’affare si farà, quale però non s’è mica capito.
All’Inter da un po’ di tempo va così. Via Durini è diventata la sede del Leoncavallo, l’Internazionale è socialista, c’è un uomo solitario laggiù che scruta l’orizzonte con aria preoccupata e pensosa. Si ispira al tumulto dei Ciompi, propugna il moviolone come esempio di democrazia partecipata, si offre per riscattare con le aree di rigore le aree depresse del pianeta. C’è un caravanserraglio di tipi strani che ronzano da un po’ intorno all’Inter, girotondini, no global, indios messicani, per quella che una volta era la figlia prediletta del bel mondo, dei salotti bene, della borghesia che conta e non soltanto i danè. Rafael Sebastian Guillén Vincente, per esempio, che in America Latina chiamano il subcomandante Marcos, passamontagna e fazzoletto rosso al collo, capo della rivolta zapatista, interista leninista. Il presidente operaio gli ha spedito soldi, magliette e palloni: «Egregio subcomandante, sono felice ed orgoglioso di averla conosciuta - gli ha pure scritto -. Il popolo interista cercherà di essere sempre vicino a voi come voi, con il vostro esempio, siete vicini a noi». Li unisce, è evidente, la comune lotta contro il liberismo. Ma Moratti è così. Ora chiama Marcos pure Materazzi, comprerà Zapata dall’Udinese solo se, dicono, convertirà il suo nome di battesimo da Christian in Emiliano.
Pensare che storicamente, geneticamente, antropologicamente è sempre stato il Milan la squadra di sinistra, dei casciavit della Bovisa e di Porta Ticinese, dei poveri cristi, del rosso e del nero, colori dell’anarchia, delle prime maglie che arrivavano da Nottingham, forse da Robin Hood in persona. Invece adesso ecco Hugo Chavez, ospite del Centro sociale Inter, rendere omaggio a «una grande squadra che ha una forte tradizione sociale», simbolo dei popoli oppressi del mondo. Cioè di tutti gli sfigati della terra. Anche lui ideologicamente vicino a Moratti: «Io credo che il socialismo sia il cammino giusto e il capitalismo quello verso l’inferno». Poi magari tutti a Forte dei Marmi dove Milly, la moglie, che di cognome fa Bossi, una volta si presentò capolista alle elezioni. Con Rifondazione comunista. Che è come far convivere Ibrahimovic con Trotzky.
Insomma con la scusa che Moggi gli ha rubato almeno trentasei scudetti e ventisette coppe dei campioni il lider Massimo ha scatenato una rivoluzione più castrante che castrista, contro tutte le ingiustizie del pianeta, contro il traballante impero d’Occidente basato sul profitto, sul mercato e sul calcio mercato, un segnale forte di confusione sociale. L’ultimo arrivato è Diego Armando Maradona, un altro ragazzino come Zanetti e Samuel. Spiega alla Gazzetta: «Lo legheremo a noi, lui rappresenta un richiamo ancora grandissimo. E mi pare che adesso sia fuori dal tunnel». Maradona. Quello che ha partecipato alla marcia anti Bush, petroliere come Moratti, quello che «per me Fidel Castro è un Dio», quello che si voleva far tatuare Chavez magari sulle Chiapas, come se non bastasse quella del Che sul braccio, che se il Che fosse ancora vivo, uno come Diego lo prenderebbe come minimo a calci nel culo. Aggiunge: «Confesso di aver preso Quaresma di cattiva voglia, per non lasciare buchi nel progetto di Mourinho. Ora bisogna vendere qualcuno, ma non è facile con gli stipendi che prendono. Beh, inutile che mi lamenti: sono io a darglieli...». E in quattordici anni ha speso 675 milioni di euro per far vincere l’Inter. Hasta la victoria, Comandante..

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