(...) che - a dispetto della sua mole - ha spiegato proprio sul Giornale che se uno Stato è un po obeso, lidea di farlo dimagrire con unenergica cura di dismissioni di patrimonio immobiliare e di partecipazioni. Insomma, molto meglio privatizzare che mettere tasse o colpire i piccoli Comuni come si pensava di fare in un primo tempo con la manovra. Per Margini, invece, la parola «privatizzazione» è una specie di bestemmia. E, nelle dichiarazioni al Mercantile, è stato quasi melodrammatico: «Nel dibattito sulla manovra, un elemento che mi ha molto colpito è quello delle privatizzazioni, per cui sembra che la soluzione dei problemi del Paese sia legata alla cessione della quota parte del patrimonio pubblico industriale a soggetti privati». Lassessore, ormai vincenziano di stretta osservanza, fa un viaggio nella storia delle imprese pubbliche: «Finora la linea era stata che una quota consistente di Finmeccanica resta in mano pubblica, mentre si apre ai privati, per cercare alleati, il capitale delle società controllate. Questo aveva di positivo che Finmeccanica restava lazionista di maggioranza e si potevano recuperare capitali per fare operazioni finanziarie». Ma, dopo lexcursus storico, Margini affonda: «Mi colpisce molto come ora si metta in discussione la stessa presenza pubblica in Finmeccanica. Finmeccanica è un segmento importante della politica economica del Paese. Se si va al di sotto di una certa base, il rischio è che si cambi completamente lo scenario e si snaturi».
E non manca un riferimento a Fincantieri: «È laltro asset su cui si rischia di riaprire un problema. Cè un piano industriale che prevedeva lo smembramento ed è stato ritirato. Non vorrei che con le privatizzazioni si riprendesse il vecchio gioco. Da queste cose che vengono avanti cè il timore che lapparato produttivo genovese sia colpito. Ci vuole grande attenzione e, come Comune, porremo linterrogativo alle parti sociali. Non dico che tutto deve restare comè, ma così cè il rischio di andare a sbattere». A questo punto, però, è obbligatorio porre una serie di domande. Perché, a sbattere, Fincantieri rischia di andarci sul serio, ma perché non ci sono più navi da costruire. E la crisi è mondiale, non si ferma ai cancelli di Sestri. Checché ne pensino Marta e Mario. Questo lamministratore delegato Giuseppe Bono, uno che in questo quadro è riuscito a fare i fuochi dartificio, lo sa benissimo.
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