Mark Haddon si cimenta nel romanzo sociale. Nel libro precedente, il fortunatissimo Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, ci aveva guidato nel mondo e nei pensieri di un bambino autistico, e lo aveva fatto con gusto e perizia. Chi, pur amando ben altro genere di libri, non aveva apprezzato la capacità di rappresentare il linguaggio di quel ragazzino problematico e geniale?
Il nuovo, ambizioso romanzo, Una cosa da nulla (in uscita da Einaudi, pagg. 358, euro 17,50, traduzione di Andrea Sirotti), ci mette davanti, invece, i casi di una «normalissima» famiglia inglese: padre (George), madre (Jean), figlio (Jamie) e figlia (Katie). Siamo a unora a nord di Londra. George è appena andato in pensione e si sta costruendo uno studio in giardino. Jean, da qualche mese, ha una relazione con un ex collega di George, lazzimato David. Jamie è gay e sta imparando ad amare il boy-friend Tony. E Katie, divorziata e madre di una bambino (Jacob), sta per risposarsi con il grossolano ma generoso Ray. Il racconto ruota proprio intorno al matrimonio di Katie. Lannuncio crea scompiglio tra i parenti. Ray non piace a nessuno. È troppo goffo, troppo incolto, e in più Katie non ne è innamorata. Ma Katie è testarda e, nonostante la disapprovazione dei suoi, è intenzionata a sposarlo. Jean, la madre, decide di far buon viso a cattivo gioco e addirittura si incarica di organizzare il ricevimento.
Di colpo, però, è lo stesso Ray, lo sposo, a fare storie. Si rende conto che Katie non è innamorata di lui e le chiede di non sposarlo. E Katie informa i familiari che il matrimonio è cancellato. In tutto questo, il più stressato è George, il padre. A parte limminente matrimonio della figlia, lo opprimono la paura della morte e i tradimenti della moglie. Per cui comincia a comportarsi da matto. Sparisce per giorni, si ubriaca, si ferisce nel tentativo di asportarsi dal fianco un immaginario cancro. A un certo punto non ce nè uno, in questa famiglia, che non veda la sua vita sentimentale andare a rotoli. Alla fine, però, il matrimonio avrà luogo e tutto si aggiusterà, per tutti.
Haddon ha preso il modello della dysfunctional family americana e lo ha trapiantato in suolo britannico. Su ogni pagina di A Spot of Bother (questo il titolo originale) senti lombra delle Correzioni di Franzen. Ma Haddon non è Franzen, e il suo racconto procede meccanicamente di situazione in situazione, senza passione, senza energia, per sola forza di volontà.
Questa volta Haddon ha fatto il passo più lungo della gamba. Non è sufficiente voler scrivere una certa storia. Non è sufficiente affidarsi ai ricettari. Questi potranno servire ad accrescere il conto in banca, non il numero dei libri belli. Per fare ciò che ha fatto Franzen, o prima di lui Leavitt, bisogna crederci. Qui, in Una cosa da nulla, non cè situazione che non sappia di artificio, di finta, di pretesto - dalla malattia mentale del padre ai tradimenti della madre, alle scene di sesso. I personaggi non hanno complessità. George è un povero cornuto, Jean una disperata, Katie unisterica, Jamie il gay sbandato, Ray un patatone. Parlano come si parla nei talk-show, e solo per un frainteso senso del realismo (il linguaggio giovanilistico del giovane Holden è lavorato e costruito almeno quanto quello del Barone di Charlus). Annegano in un bicchier dacqua. Letteralmente. Sono piccini, miseri, parlano per frasi fatte (che dialoghi!). La loro unica preoccupazione è lamore. E non si capisce perché. Il romanzo non ce lo dice.
In tante pagine non cè pericolo di trovare unaffermazione interessante, unimmagine riuscita, un pensiero. Anche Madame Bovary, si obietterà, è piccina. Certo. Ma grandioso è il modo in cui lautore rappresenta, analizza, comprende la piccineria del suo personaggio. Quella piccineria ci interessa enormemente, è un universo. La prendiamo, comè giusto, per qualcosa di fondamentale e di importante. In quella piccineria è qualcosa di tutti noi. Ci serve! In Una cosa da nulla di grandioso non cè proprio nulla - forse soltanto limpegno ad accumulare pagine su pagine, a trovare spunti per la prossima scenetta (quante potrebbero essere tagliate senza minimo danno per linsieme...).
E con questo? Il libro, alla fine, lungi dal servirci ad alcunché, è solo un mucchio di appunti per un libro ancora da scrivere - seppure di un libro simile ci sia il bisogno (Le correzioni bastano e avanzano). I capitoli sono brevissimi, ridotti a poche notazioni sul comportamento dei personaggi. Cominciano tutti o quasi con una frase standard: X faceva o diceva. Non cè ritmo o flusso, ma catalogo. Nessuna «scoperta». Leggi una pagina dopo laltra e non impari niente. Sapevi già tutto. Una cosa da nulla è un esercizio compositivo. Un testo-lego. Niente di più. Haddon è bravissimo a sviluppare certe conclusioni da certe premesse. Lo si vede bene nello Strano caso del cane ucciso a mezzanotte. Una tale abilità gli viene dalla conoscenza della matematica. E, finché si tratta di situazioni patologiche, le cose funzionano.
Perché Haddon ha scritto questo libro? Non bastano la logica e il ragionamento, e neanche linvidia dei grandi americani, a fare un po di buona letteratura.
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