Marmelata, decano dei gondolieri voga per soli 50 centesimi di euro

Se i gondolieri fossero davvero un’accolita di canaglie, come sospettano i turisti in visita a Venezia, qualcuno dovrebbe spiegare il mistero del loro decano, Stelvio Costantini, detto Marmelata, figlio di gondoliere e padre di gondoliere, traghettatore con stazio in Campo Santa Sofia, che da 46 anni continua a far la spola da una riva all’altra del Canal Grande per 50 centesimi di euro la corsa, cioè 968 delle vecchie lire. La tariffa un tempo era legata al prezzo del Gazzettino e della tazzina di caffè, «po’ el gazetìn xe volà a domìla franchi...», e dell’espresso, che in piazza San Marco si paga con la carta di credito, meglio non parlare, «solo nialtri gondolieri semo restadi fermi».
Sul Canalasso, come lo chiama con devozione filiale, Costantini ci è nato, «in casa del barone Boiacovich, fra Palazzo Michiel delle Colonne e Palazzo Michiel del Brusà», a 50 metri dalla Ca’ d’Oro, praticamente nello stesso luogo dove lavora dall’età di 14 anni, «anche se la licenza il Comune me l’ha data solo nel 1964». Suo padre Gianmaria era «el gondolier de casàda» dei Boiacovich, la madre Antonia «xera la serva». Siccome i datori di lavoro non sopportavano gli strilli del fantolìn, ai due disgraziati fu ingiunto di traslocare in Calle de la Racheta, «cussì son rimasto fìo unico».
Il vero nomignolo di Stelvio Costantini è Marmolada, venetizzazione in chiave dolomitica del nome di battesimo alpino, che da queste parti suona eccessivamente retico, dunque barbaro. Però molti colleghi lo chiamano Marmelata perché, nonostante la prestanza fisica, lo giudicano troppo mellifluo con i clienti, in particolare con i nobili, «ma un conto xe licàr el culo e un conto xe portare rispèto: mi a la zènte porto rispèto. Mio padre mi ha insegnato a levarmi il cappello di paglia e a fare la reverenza quando incontro una persona, e io insegno ai più giovani che non si può bàtar góndoa (richiamare clienti, ndr) con gli occhiali da sole, perché i oci xe l’anima de ’na persona».
Costantini fa coppia fissa con quello che ritiene il suo allievo venuto su meglio, Stefano Salvadori, 38 anni, «ci considerano marito e moglie anche se siamo entrambi sposati: passa più tempo con me che con la sua Michela». Ne va molto orgoglioso perché Jeremy Irons, durante le riprese del Mercante di Venezia, ha chiesto a Salvadori di insegnargli a portare la gondola. Al maestro è sembrato di rivivere i bei tempi in cui Burt Lancaster si faceva prelevare solo da lui al casinò e Joan Collins lo volle accanto a sé persino in una puntata di Dynasty.
A Venezia ci sono 425 gondolieri. Numero chiuso. La cooperativa Daniele Manin, della quale Costantini fa parte, è la più grossa: 180 soci. Incontrarne uno e farlo parlare è un’impresa. La categoria diffida della stampa. Conoscerne il dialetto aiuta, ma non più di tanto. Farsi raccomandare da Fulvio Roiter, ritrattista ufficiale di Venezia, idem. Se poi vai cercando quello con più anzianità di servizio, stai fresco. L’ufficio turismo del Comune rinvia al presidente dei bancali, una specie di Grande Fratello degli stazi. Il quale prima prende tempo, poi dice che «no’ xe facile come crede lu», quindi invita a richiamarlo dopo qualche giorno, infine chiede che cosa deve rispondere al gondoliere se questi gli domanderà quanto c’è da guadagnarci, «parché ’na zornàda de laóro persa xe ’na zornàda de laóro persa». Avuta conferma che le interviste sono una cosa e i commerci un’altra, si riserva 48 ore per decidere. Mi sento come il capitano dei carabinieri Bellodi nel Giorno della civetta di Sciascia, e fra veneti non è piacevole.
L’aristocrazia d’animo del mio gondoliere è il giusto ristoro dopo la gelatinosa trattativa. Depositario di un’erudizione strabiliante, si avverte subito che ha avuto fin da bambino ottime frequentazioni. Di famiglie patrizie ne conosce ancora parecchie, a cominciare dai conti Marcello, discendenti del musicista settecentesco Benedetto Marcello, quello del concerto per oboe che faceva da colonna sonora ad Anonimo veneziano e che i più credono sia stato scritto dal malato oncologico Tony Musante per farsi ricordare da Florinda Bolkan. «Mio padre era il gondoliere di fiducia del conte Girolamo Marcello del Majno. Capitava anche che il barone Boiacovich lo desse in prestito ai principi Thurn und Taxis, alla granduchessa Montecuccoli, al conte Soranzo».
Il soprannome Marmelata non mi sembra del tutto immeritato.
«Il fatto è che i nobili sono meravigliosamente gentili con me. Vogliono che gli dia del tu. Io, un gondoliere! La contessa Gradenigo ha più di 80 anni. “Ciàmeme Maria, no’ siòra contessa”, mi rimprovera quando la saluto. Lo stesso il conte Ranieri Da Mosto, quello che dieci anni fa ospitava a casa sua, in Campo San Cassian, il governo padano di Bossi. Un uomo delizioso. Porta lo stesso nome del suo avo, lo scopritore delle isole del Capo Verde che aprì la via delle Indie occidentali. Per non parlare dei conti Marcello del Majno, il casato più antico: erano tribuni romani, s’insediarono a Venezia nel 624 dopo Cristo. Per quanto anche i Costantini...».
Nobili anche loro?
«La mia famiglia venne dalla via Cassia nell’800 dopo Cristo».
Chi gliel’ha detto?
«Andavo per ciése, quando studiavo mosaico alla scuola d’arte. C’era una chiesa dei Costantini dove oggi sorge l’Accademia. L’ha distrutta Napoleone. Per non far vedere che rubava, quel fetente abbatteva chiese e palazzi con la scusa di costruire nuovi edifici, e intanto si fregava le opere d’arte che vi erano contenute».
Chi è stato il gondoliere più famoso?
«Albino Dei Rossi. Detto Strigheta perché stregava i passanti con la potenza e la tecnica di voga. È morto nel 2004. Aveva 84 anni e lavoricchiava ancora».
I gondolieri vanno mai in pensione?
«Io ci sono andato a 56 anni. Ma posso tenere la licenza fino ai 70. Pago le tasse come artigiano».
Quante ore lavora?
«Prima 10-12 ore al giorno. Adesso 6-7. I giovani fanno servizio anche di notte per le gite romantiche».
Tinto Brass dice che la gondola è un’alcova.
«E casa sua xe un casìn!».
Guardi che mica s’offende.
«Io con i ragazzi sono molto chiaro: dève basi, disève parole, ma tuto finisse là. Comunque al giorno d’oggi no’ i xe tanto distanti dal far l’amore in gondola. I xe come un octopus, i g’à ’e man dapartuto. Ho portato tre coppie, due etero e una no, sotto il Ponte dei Sospiri. Be’, i do gay fasea léngoa in boca più de ’st’altri quatro».
Le è mai capitato di rovesciarsi in acqua?
«Da solo sì. Una volta. Sa, la gondola è lunga 10,4 metri e larga 1,47. Un baccalà aveva ormeggiato malamente la sua barca di Rio de la Madalena. Nel far manovra ho calcolato male i due metri di poppa e sono finito in ammollo».
Per quante miglia può remare al giorno?
«Da giovane facevo come niente 70 chilometri. Arrivavo fino al Lido, con lo scirocco a favore. Adesso più in là di 30 non arrivo».
È molto faticoso?
«Xe stressante. Un conto è vogare e un conto è bàtar góndoa. Capita che i turisti ti rispondano male. E noi li mandiamo in mona. Ieri, mentre ero a mangiare, mi sono entrate in barca due inglesi e tre siciliane per farsi le foto. Aooe!, gli ho urlato, a chi avete chiesto il permesso? ’Nde via, che sie’ in casa d’altri. Le inglesi si sono scusate. Invece il padre delle siciliane ha cominciato a insultarmi. Così m’è scappato di rispondergli per le rime: tornè dal cesso da dove sie’ vegnudi fòra! Poi sono stato male tutto il pomeriggio per averglielo detto».
Chi ha disegnato la gondola?
«Mah! La forma definitiva, a fondo piatto, risale al 1100. Dal 1750 xe un fia’ storta, asimmetrica: l’inclinazione controbilancia il peso del gondoliere che voga stando in piedi. I nobili l’hanno fatta abbellire in tutti i modi. Prenda il ferro di prua, che la gente chiama pettine e noi dolfìn, da non confondere col rìsso di poppa: la parte superiore, ricurva, rappresenta il corno dogale, il berretto rosso dei dogi; l’arco ricorda il ponte di Rialto; i sei denti simboleggiano i sestieri e il dente opposto, rivolto verso poppa, la Giudecca».
Quante gondole ha consumato finora?
«Tre. La prima me la fece il maestro d’ascia Nedis Tramontin, il più degno erede dei proti della Serenissima, nello squero aperto nel 1884 dal bisnonno Domenico nel canale d’Ognissanti».
Sono rimasti in tanti a costruire gondole?
«Oltre ai Tramontin, solo tre, che io sappia: Roberto Dei Rossi, Franco Vianello detto Crea e Lorenzo Della Toffola. Ci ha provato anche un americano, Thomas Price, ma non è un lavoro per chiunque».
Costano care?
«Sui 25.000 euro. Per una gondola da matrimonio, laccata e dorata, si arriva a 50.000. La costruzione può durare più di un anno».
Che cosa pensa dei motoscafisti?
«Per regolamento dovrebbero viaggiare a 7 chilometri orari, ma se lo facessero davvero andrei più veloce io. Corrono per guadagnare di più. La città xe granda e la torta xe ancora più granda. Li capisco: siamo tutti uguali. Di notte volano. Al mattino troviamo le gondole piene d’acqua, a causa del moto ondoso provocato da loro».
I 50 euro che si fanno pagare da piazzale Roma a San Marco sono giustificati?
«Sì. I mezzi richiedono molta manutenzione. E del resto per una gita di 50 minuti i gondolieri chiedono 73 euro».
Non sono pochi.
«Però portano fino a sei persone. Calcoli gli altri 50 minuti di remata per tornare allo stazio. Comunque grazie all’euro di Prodi dobbiamo accontentarci di una tariffa più bassa, altrimenti non si lavora».
I gondolieri sono litigiosi?
«Dipende da quante ombre de vin hanno bevuto. Dopo dieci minuti è tutto finito, baci e abbracci».
Fulvio Roiter mi ha detto che vi lanciate insulti irriferibili, passando dal tu al lei per rafforzarli, ma solo quando v’incrociate in gondola nei canali. Mai in terraferma, per non venire alle mani.
«Xe vero».
Il più sanguinoso qual è?
«“Fìo de ’na cooperativa”».
Vale a dire?
«I papà ’ndava tuti da la stesa dona. Io rispondo con “fìo dea Nilde Ioti”. Ma provi a dire “fìo de Bertinoti” ai due Vignotto, e vedrà che cosa le succede».
Chi sono i due Vignotto?
«I cugini Rudi e Igor Vignotto, che in dieci anni hanno vinto otto volte la Regata storica. Abitano sull’isola di Sant’Erasmo, dove ci sono più neri che a Predappio».
Conosce Roberto Pilla, gondoliere a Rialto, sette volte campione del mondo di wrestling?
«Mio figlio Andrea, 30 anni, detto lo Yeti per via del metro e 90 di altezza e dei 130 chili di peso, gondoliere in bacino Orseolo, è andato a Milano per vederlo combattere. Ma al posto suo è salito sul ring un tizio con due denti finti da vampiro che schizzavano sangue artificiale. Disgràssia g’à volèsto che questo deficiente macchiasse di rosso la maglietta bianca di Andrea, appena comprata. Mi fìo lo g’à rincorso fin negli spogliatoi e a momenti lo desfàva».
Ha nostalgia della Repubblica veneta?
«Sì, tanta, siòr. Vorìa che ghe fusse ’ncora el doge. Con tutto il rispetto per il tricolore, me sento prima venessian e dopo italian. Non c’è repubblica al mondo, né ci sarà mai più, che sia durata quanto la nostra: 1100 anni. E ci sarebbe ancora se Napoleone ci avesse lasciati in pace».
Allora avrà tifato per i nove serenissimi che diedero l’assalto al campanile.
«Quel giorno in piazza San Marco g’à fàto più confusión le forze dell’ordine. Quelli delle Mercerie, costretti dalla polizia a chiudere bottega, erano inferociti: figurarsi se avrebbero smesso di lavorare per un tanketo. Hanno condannato i serenissimi solo per spaventare i prossimi che sarebbero venuti dopo di loro».
Eh, questi giudici...
«Ma lo sa che 73 gondolieri sono indagati per interruzione di pubblico servizio solo perché abbiamo protestato con una serrata contro i venditori abusivi che ci impediscono l’attracco esponendo le loro cianfrusaglie sui moli? In compenso la settimana scorsa un deputato dell’altra repubblica, Vladimir Luxuria, ha potuto dichiarare alla Nuova Venezia che i gondolieri sono la categoria più sexy al mondo e che vorrebbe fare “il grand tour, con... tutto compreso”. In pratica ne g’à dato dei recióni».
Non è elegante.
«’Deso lassémo stare Luxuria, che xe quel che xe. Ma il centrosinistra come ha fatto ad allearsi con uno così, uno di Rifondazione comunista? Prodi xe un democristiàn come mi, che ho sempre votato per la Dc, e oggi va d’accordo con i Casarini e i Caruso. Ma no’ se vergogna?».
Come sono i rapporti col sindaco Massimo Cacciari?
«Almeno dialoga. Il suo predecessore Paolo Costa, creatura di Prodi, era la quintessenza del male. Un duce. Imponeva e basta».
«Quella dei gondolieri è una casta molto chiusa». Parola di Franco Vianello Moro, presidente dell’Ente per la tutela della gondola.
«Molto chiuso, nel portafoglio che ha in tasca, è lo stipendio che prendeva tutti i mesi. Per fortuna che ora no’ xe più presidente».
L’americana Alexandra Hai, che sognava di diventare la prima gondoliera, l’avete bocciata tre volte.
«Regolare esame comunale. L’ultima volta ha preteso che ci fossero in commissione due donne vogatrici ed è stata bocciata lo stesso. Le ha dato torto persino Platinette».
Che mi dice dei troppi piccioni?
«Sono austroungarici, li hanno portati gli Asburgo, per questo ci bombardano. E i cocài (gabbiani, ndr), che si cibano di pesci agli estrogeni, sono anche peggio: sembrano pterodattili».
Topi ce ne sono molti?
«E me lo chiede? Pantegane delle dimensioni dei gatti siamesi, lunghe 30 centimetri. Qui allo stazio proviamo a prenderle con la trappola, ma un animalista le libera, ci crede? Mio figlio se n’è trovate dieci che correvano sotto il tavolo all’aperto della trattoria e ha cominciato a dargli la mollica di pane per tenerle buone».
Al ristorante accetterebbe una sogliola pescata in un rio?
«Sì. Almeno qui le sogliole mangiano merda, in laguna non so. I peóci (cozze, ndr) pescati a Malamocco sono fosforescenti».
Il carnevale è un momento magico?
«Più che altro xe ’na rotura de cogióni. Di notte gli olandesi ubriachi ci rubano le forcole per souvenir e ci riempiono con i vuoti di birra le gondole. Quando non ce le affondano».
Il Mose vi salverà dall’acqua alta?
«Spero di sì. Sono 400 anni che l’Adriatico cresce. Girando per i canali vedo palazzi con le entrate di mare che sono un metro e mezzo sott’acqua anche con la bassa marea. Non ho mai sentito i veneziani protestare contro le paratie mobili. Solo 200 fanfaroni verdi non le vogliono».
I vostri peggiori clienti chi sono?
«I francesi. Da alcuni non riesco a farmi pagare i 50 centesimi del traghetto da Cannaregio a Rialto neppure chiamando le vigilesse».
E i migliori?
«Gli italiani. Per le soddisfazioni che regalano e per il calore umano che instaurano. E poi gli austriaci anziani. Mi dicono: “È nostra Venezia, l’abbiamo comprata da Napoleone”. Non scherzano. L’hanno pagata coi bessi, in contanti».
Gli fa anche la serenata?
«Gondolieri che cantano? Xeo màto?».
Ma come? Non ha mai sentito nominare Armando Fabris, detto El Papusa, la pantofola, per come trascina i piedi, inventore di Venezia in musica, 45 minuti, 100 euro tutto compreso, gondoliere, cantante e fisarmonicista?
«Io sono rimasto fermo a quando facevamo le serate con una gondola illuminata sulla quale prendevano posto musicisti e coristi della Fenice, altro che fisarmonica! Vadano a farselo cantare da Pavarotti, ’O sole mio.

Mio papà conosceva a memoria mezza Gerusalemme liberata del Tasso, e la recitava ad alta voce mentre vogava, e i gondolieri che incrociava continuavano col verso successivo, lasciando di stucco i turisti. Questa xe la Venessia in musica che me ricordo mi».
(332. Continua)
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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