Marsala, un dolce Natale

nostro inviato a Marsala

Marsala, estremo ovest della Sicilia, è una di quelle città, in fondo numerose sull’isola come nell’Italia intera, dove rimarresti per giorni e giorni per conoscerla fino in fondo, così bella nonostante l’uomo abbia tentato, soprattutto nelle ultime decadi del secolo scorso, di sfregiarla in eterno con il cemento. Ha una storia millenaria, Garibaldi è solo uno dei tanti passati per queste bande (tra due anni il 150° anniversario di uno sbarco che non tutti oggi benedicono), angoli e panorami dove rimani senza parole, Mothia, lo Stagnone e le sue isole, le saline, i monumenti e le grotte, il mare e la luce, e tanto ancora da fare per riscattare scelte urbanistiche che a volte sono offese alle tante eredità arrivate fino a noi.
Sono i controsensi di un Paese che è bello e pure buono ma che dovrebbero ricordarselo sempre. Al buono - che sovente è pure ottimo - dell’Italia golosa, Marsala contribuisce con il vino liquoroso a cui ha dato il suo nome, di radice araba “Marsa Allah” ovvero il Porto di Dio. Qui si è sempre vinificato in dolcezza ma il Marsala è diventato un successo mondiale solo grazie a un commerciante inglese, John Woodhouse, che nel 1773 se ne tornò in Gran Bretagna con del vino locale rinforzato con acquavite. Voleva essere certo che il viaggio non lo rovinasse. Fu un boom, anche se ci volle almeno un altro carico e un lavoro che oggi definiremmo di marketing, ma non poteva che finire bene tale la passione degli inglesi per vini liquorosi come Sherry, Madera e Porto. Si trattava di fare in modo che sembrasse un nettare degli dei, sole tappato in bottiglia e non un vinello qualsiasi.
Oggi, con Villa Ingham prossima a crollare dopo essere stata la reggia di un altro inglese dalla vista lunga e una ventina di cantine attive, viene difficile pensare che nell’Ottocento erano dieci volte tante, ma quel che preme è che lavorino bene. Come per tanti prodotti di successo, anche il Marsala, del quale esistono tante varietà quasi come ore di sole in estate, è rimasto vittima della sua fama. Vino da meditazione e da chiusura dei pasti, da relax pomeridiano con un buon sigaro e da tocco in più in diverse preparazioni culinarie (il rognone trifolato!), è (era) scivolato giù negli scaffali, da quelli nobili delle enoteche ai più da battaglia dei supermercati.
Poi le onde della vita affondano chi (e cosa) non ha più ragione di esistere, ma riportano in alto chi sa ritrovare slancio e motivazioni in sintonia con i gusti dei più. Il Marsala appartiene alla seconda schiera e una visita alle Cantine Pellegrino lo conferma. C’è la storia, perfetta per colorare tanti aspetti, compresi i servizi televisivi o giornalistici, penso a un poker di carretti siciliani originali che incantano, a file di botti e tini che certo non sono figli del terzo millennio, alle due torri che da enormi serbatoi regolarmente riempiti per quarant’anni a partire dal 1950, oggi accolgono su quattro piani cucine professionali, sala degustazioni e un laboratorio panoramico dal quale il tramonto e poi il buio sul mare sono momenti unici.
Le Torri Pellegrino accolgono meeting, incontri e kermesse golose come il Cooking Festival pensato dal gastronomo Martino Ragusa nel quale sfilano chef ogni anno diversi, tutte donne un anno, tutti giovani un altro. Lo stesso Ragusa ha stilato un Manifesto della cucina nazionale italiana e ha invitato gli addetti ai lavori a ragionarci sopra. Certo però che tutte queste cose si ridurrebbero a poco, se dalla cantina non uscissero fiori di vini che non sono solo il classico Marsala come il Rubino e il Riserva Oro, il Soleras e le riserve, quella del Centenario e quella denominata 1962. Siamo vicini alle feste con gli inevitabili dolci che vanno sposati a note altrettanto delicate come quelle di Malvasia e Zibibbo, entrambi liquorosi, e dei gioielli di Pantelleria: Moscato, Passito e il Nes Passito di Pantelleria. Ogni info in www.carlopellegrino.

it.

Commenti